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tempio squisitamente italiano, per il quale la Sardegna veniva, gentile intermediaria l'arte che fiori sulle rive dell'Arno, riattacata nobilmente alla madre patria.

Leggendola, la mente si porta ad epoca e ad ambienti, in cui se molto si soffriva, molto si viveva.

Mossero dalla reggia di Torres Costantino, che un poeta pisano canto saggio e valoroso, e la pia sua consorte Marcusa, che un fatal destino dovea più tardi strappare dal suo regno e dalle gioie del mondo.

Facevano certo corruscare la sua fronte i ricordi e le visioni dei suoi figli, che il fato inesorabile aveva tutti strappato all'affetto suo. Per i pingui pascoli della Crucca ella s'avanzava trepidante verso l'opera votiva, colla quale intercedeva per aver un figlio non più vittima di inesorabili eventi, ma conservato al suo affetto di madre e di regina. Attorniavano la coppia regale i donnicelli, i maiorales, i lieros e, preceduto dall'arcivescovo di Torres, uno stuolo di sacerdoti, di chierici e di pie genti. Uno stesso fato, uno stesso sentimento di pictà verso la coppia così provata alle sciagure spinse Gualfredo, arcivescovo di Cagliari, al lungo e disagioso viaggio, sospinse Pietro, il presule di Bosa, ad abbandonare le fiorite rive del Temo, in cui si specchiavano le muraglie vagamente ornate di S. Pietro, ed indusse al pio pellegrinaggio Alberto di Sorres, Pietro di Bisarcio ed i vescovi di Solci, di Castra, di Ploaghe e d'Orotelli. E la imponente cavalcata, cui partecipava quant'era di più eletto nell'isola, procedeva lentamente, inneggiando a Maria, per i scoscesi sentieri svolgentisi fra i piani della Crucca e le colline di Figolina e di Codrongianus. E quando giunse nella bella vallata di Saccargia, circondata da verdi colline, quando apparve nello splendore di forme le più vaghe e le più nobili la mirabile chiesa scintillante di colonnine e di marmi, il fascino della bellezza e l'incantesimo dell'arte dovettero far dimenticare all'attonita turba il triste fato che la fece andare, per salutar con gioia la bella apparizione, preludiante ad uno spirito novello, ad un'alba lieta e feconda nell'arte e nella vita.

Mentre nella navata dolcemente illuminata dalla tenue luce diffondentesi dalle strette finestre salivano le preci e gli occhi degli oranti riguardavano meravigliati la bella Madonna dell'abside, che più non aveva il nero cipiglio delle Marie bizantine ma che già lasciava intravedere quel sorriso che più tardi doveva brillare nelle Madonue di Duccio di Siena e di Cimabue, mentre fra le spigliate colonnine della