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LIBRO SETTIMO — 1811. 93


De’ figli il primo, d’indole rea e malvagia, cominciò da giovinezza a commetter delitti, e l’amoroso padre, stando ancora in piedi le udienze e gli scrivani, ne redimeva la reità per danaro. Ma quegli continuo al male ritornava alle colpe, quanto l’altro sollecito e costante il difendeva, disperdendo il patrimonio della famiglia. Per grave misfatto commesso l’anno 1809, di già cambiati codici e magistrati, il tribunale della provincia il condannò a morte, da eseguirsi in patria innanzi alla propria casa. Ma la condanna restò sospesa dal ricorso in cassazione; ed il padre, dopo di aver profuso cure e denaro, lasciò in Napoli un più giovane figlio col carico di avvertirlo celerissimamente della sentenza. Questa fu avversa; il figliuolo in gran diligenza giunse apportatore della fatale condanna, e dal padre ebbe comando di segreto anche in famiglia.

Nel seguente giorno il vecchio ottenne per denaro dal custode del carcere di desinare col figlio: e fu la mensa non abbondevole nè scarsa, egli non lieto nè tristo; il figlio, per lungo uso avvezzo alla prigione, indifferente. Finito il desinare, il padre parlò in questi sensi: «Figliuol mio, il tribunale di cassazione ha rigettato il nostro ricorso, la condanna è confermata, fra poche ore sarà nota quella estrema sentenza, e tu dimani avrai cessato di vivere. In qual modo? infamemente, per mano del carnefice; ed in qual luogo? qui in patria, innanzi alla nostra casa. Il patrimonio ch’era mio e della famiglia, tutto è stato distrutto in tua difesa, piccola vigna che io piantai è stata venduta un mese fa. Se alla nostra povertà tu vuoi aggiungere infamia, troppo di male, o mio figlio, avrai arrecato ai tuoi vecchi genitori, a due fratelli, a tre sorelle, al nome, alla discendenza. Non vi ha che un mezzo, morir prima, morir oggi. Se hai pietà della famiglia e di me, prendi, questo è un veleno (cavò di tasca una carta ravvolta), bevilo. Se l’animo ti manca, io partirò maledicendoti; se beverai, le mie benedizioni accompagneranno il tuo spirito.» A questi ultimi detti qualche lacrima gli comparve agli occhi, e impietrì; e il figlio che inorridito ascoltava, prese la carta, senza dir motto, di man del padre, versò il veleno nel bicchiere, baciò la destra al venerando vecchio, e, fissamente guardandolo, beveva. Mentre l’altro levato in piedi, e per inusitato vigore scomparsa la curvità della persona, alzato il braccio in atto patriarcale, tre volte disegnando la croce il benedisse. E subito partì: il figlio mori in breve ora.

Seppesi nel giorno istesso la condanna, il pranzo, il veleno, la morte. Fu messo in carcere, accusato di parricidio il vecchio padre che nulla tacque de’ fatti. Il tribunale il condannò a morte, la cassazione pendeva incerta fra la legge e la coscienza; che pericolo alla giustizia era la scusa del misfatto, ma la condanna offendeva la