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LIBRO SETTIMO — 1811. 91

nel privato: pareva discordia, ma era scaltrezza in tanti moti e pericoli di regno nuovo. Eppure quella volta non per finzione ma per sentimento il re e la regina discordavano; ella fidando meno del giusto nel marito, e assai più del giusto nel fratello. Si accesero domestiche brighe: egli, impetuoso per natura, infermo; ed ella, benchè superba, fu palesemente mesta e addolorata.

Vinse il decreto di Bonaparte: l’esercito francese uscì dal regno; ma i Francesi che avevano in Napoli militare o civile impiego restarono. Nella plebe sursero e dicerie maligne e bugiarde su i motivi dello sdegno della casa; e scrittore seguace, poi nemico di que’ principi, non disdegnò di avvalorare quelle menzogne, adombrandole în alcune memorie chiamate istoriche. Indi a poco le domestiche contese quietarono, e il re, tornato sano, si volse alle cure dello stato.

XL. In Napoli, come in altre parti d’Italia, estirpati per furioso genio di coltura gli alberi su le montagne e messe a campo le terre, furono i primi ricolti abbondanti; ma scemavano d’anno in anno, perchè dall’acque trasportato il terreno, ingomberate le sottoposte pianure, solcato stranamente il dorso dei monti, e però nudato il colle, devastato il piano, lasciati i torrenti alle proprie licenze ed agli eventi dei turbini, l’agricoltura fu sovvertita. Una legge di Gioacchino riordinava quella parte di amministrazione pubblica; e non bastando i precetti nominò una direzione suprema in Napoli, altre minori nelle province; impiegati e vigilatori nelle comunità, guardie nelle campagne: che se tutto e troppo nel possesso dei boschi era stato libero, tutto e troppo dopo la legge fu ristretto da regole, proibizioni ed ammende: sursero grandi e giuste lamentanze accreditate dall’avarizia del fisco; si manifesta in quella legge che la severità delle pene appariva non già zelo di bene ma cupidigia. Ne derivò che provvida legge fosse male accolta dai soggetti e ritrosamente osservata.

Per altri decreti l’amministrazion provinciale e comunale migliorava in quanto alle regole, ma peggiorava nel fatto; e del peggioramento era principal cagione il ministro per lo interno conte Zurlo, ingegnoso, instancabile, desideroso di pubblico bene, e pure amico di libertà, ma per lunghe usanze così devoto alla monarchia e cieco amante del re (qualunque mai fosse di nome o d’indole) che per soccorrere la finanza, disordinata dalle troppe spese della milizia e della corte, imponeva al patrimonio dei comuni non pochi debiti del fisco, ed altre somme col nome di Volontario Donativo. Perciò quei patrimonii decadevano, il popolo insospettiva; gli spiaceva il risparmio, a vederlo convertito in doni menzogneri, più delle dissipazioni e delle frodi, le quali almeno giovavano ad alcuni della comunità.