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LIBRO SETTIMO — 1811. 89

vantaggio delle comunità; e nella partizione delle terre fra cittadini fu prediletta la povertà: sì che donavano a più poveri, davano per piccolo prezzo a’ meno poveri, vendevano al giusto agli agiati, escludevano i ricchi. I miseri profittavano in tutti i modi, con offesa (convien dirlo) delle consuete forme di procedimento, e pur tal volta della giustizia; imperciocchè la feudalità (qui ripeterò ciò che poco indietro ho detto del brigantaggio) era misfatto antico ed enorme, che la giustizia del nuovo secolo punì co’ modi del flagello e della vendetta.

Per eseguire le sentenze della commissione feudale il re al finire del 1809 mandò, commissarii nelle province, parecchi magistrati di alto grado, di buono ingegno, di onorata fama, portando altri decreti di cui l’adempimento fosse veloce e forzato: l'opera stava al termine; il moto come al fine delle cadute era più celere. Per cura di que’ regii ministri, divise le terre e suddivise, videsi numero infinito di nuovi possidenti; franca la proprietà de’ già baroni, de’ già vassalli; tutte le servitù disciolte; quell’anno 1810, il primo di libertà prediale e industriale. Perciò il re, dal campo di Reggio dove stava a guerra contro la Sicilia, dichiarando compiuta l'abolizione della feudalità, bandì per editto irretrattabili le sentenze della commissione feudale; ed essa disciolta. Si videro indi a poco gli effetti maravigliosi di quell’opera nelle private ricchezze, nell’accresciuta finanza, nell’agricoltura, nelle arti. Era stata divisa tra ’l re ed il comune di Postiglione la valle del Calore, piccolo fiume che va nel Sele, la quale per lo innanzi foltamente boscosa era parte delle regie cacce di Persano: delle due pendici l'una, lasciata al re, è selvaggia come innanzi; l'altra, divisa fra cittadini, è coltivata a campi, a vigne, ad oliveti, sparsa di nuove case, alimentatrici di famiglie industriose e beate: così che in quelle due convalli stavano figurate ed espresse in natura la vivente feudalità e la distrutta. Età novella per la vita civile del popolo napoletano cominciò nel 1810.

XXXIX. Il primo giorno del seguente anno, tra le consuete feste della reggia, il re concesse con titolo e dote, ma senza diritti ed usi di feudo, alcune baronie a generali e colonnelli dell’esercito: liberalità che generando nobiltà nuova, armata, potente, partigiana degli ordini nuovi, provvedeva a molti bisogni della nascente casa de’ Napoleoni, e non aveva di sconcio che il nome. Il re Giuseppe, a pompa o prodigalità aveva fatto altri doni a’ ministri civili; Gioacchino istesso ne’ succedenti anni nominò ora per premio a’ servigi, ora per favore, altri baroni, conti e duchi, e concedè titoli senza terre o terre senza titoli a militari, a magistrati, ad artisti. Parvero, e tali erano in alcuni casi, dissipazioni dell’erario pubblico; ma non sì grandi e si vacue quanto la malignità divolgava; che nella storia di Napoli non vi ha nuova stirpe, per quanto