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LIBRO SETTIMO — 1810. 85

volte, niun’altra comunità dimandava il riscatto. E poichè giovava al governo accrescere senza sua spesa o danno il demanio regio, pattuiva (confessando obbrobriosamente le usate fraudi) che se mai riconcedesse in feudo, a prezzo o a dono, le comunità riscattate, resterebbero esse sciolte da ogni obbedienza verso il re, da ogni servitù verso il barone: scusava e legittimava la ribellione.

Altra vena di ricchezza fiscale fu il vendere titoli o privilegi, altra il transigere a prezzo la pena de’ misfatti; e perciò si leggono di quel tempo delitti orribili ed impuniti. Sotto il vicerè duca d’Arcos, il barone di Nardò, essendo in lite col capitolo del suo feudo, fece in un giorno troncare le teste a ventiquattro canonici che lo componevano, e tutte le espose in dì festivo, ad argomento di potenza e di vendetta, sopra i seggi sacerdotali della chiesa; nè fu castigato perchè si riscattò della pena. Non vi ha città o terra già baronale che non serbi memoria di fatti atroci, nè palagio o castello che non abbia i segni delle esercitate crudeltà.

E così i baroni (essendo Napoli governato per ministri di re lontani) non più de’ troni o sostegni o nemici, e smisuratamente cresciuti di numero e mescolati ad uomini sozzi innalzati per comprate onorificenze, ed avari, crudeli, ingiusti sopra le genti soggette, davano della feudalità idea spaventosa, ma bassa. E perciò, finito nel 1734 il vicereale governo, la stirpe de’ Borboni trovò piano il cammino alle riforme.

XXXIV. Ed era riformatore il secolo, riformatore ogni principe. La monarchia nei regni di Francia, di Spagna, della Germania rinvigoriva dal reprimere i baroni, e, sgravando il popolo di gran parte di pesi e delle servitù feudali, renderlo amante e sostenitore di un potere unico e supremo; l’esempio fu imitato da Carlo, primo re tra noi della stirpe borbonica. Si aggiungeva che i baroni nelle province, ricchi ma spregiati, dimentichi o non curati delle armi, molti ma piccoli e la più parte surti da plebe per favore de’ passati re o della fortuna, avidi perciò di fasto, vennero alla città volontarii o richiesti a sperar gli onori della nuova corte. Carlo li accolse, e avvincendoli delle vote ma tenacissime catene della boria e del lusso, li rese di emuli, servi; e di potenti a resistere, impotentissimi. E dopo ciò pubblicate parecchie leggi a danno della feudalità, e repressi non pochi abusi, dichiarò che per lunghezza di tempo non si acquista diritto sopra i popoli, e che le ingiustizie de’ prepotenti non si legittimano da prescrizione. Così palesava il proponimento di abbattere la feudalità. Su le tracce istesse più rapidamente camminò a’ primi anni del suo regno, il successore di Carlo, Ferdinando IV. E poi che fu vista la tendenza del governo, e che la filosofia e la ragione potevano mostrarsi a