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84 LIBRO SETTIMO — 1810.

regole di governo contrarie a quelle del nemico svevo. Ritornava la feudalità più che non mai fortunata e superba. Eppure di questo re e di altri re angioini la storia rammenta alcuni atti moderatori di certi eccessi feudali, ma che più dimostrano lo sdegno per alcune enormità che il proponimento di toglierne le cagioni o giovare a’ popoli. Così governò la stirpe angioina sino alla prima Giovanna; e poi costei e la seconda dello stesso nome ed il re Ladislao, tra lascivie e bisogni che ne derivano, venderono quasi tutto il demanio regio, diedero titoli di duca e principe riserbati sino allora a’ regali, concederono profusamente titoli minori, terre e privilegi; infeudarono, quasi direi, tutto il regno. Fra le concessioni più gravi alla sovranità e più dannose a’ soggetti fu quella che si disse del mero e misto imperio, cioè la giurisdizione a’ baroni su la giustizia criminale e civile.

Ma era serbato alla vergogna di Alfonso I di Aragona fecondare ed ingrandire questo mero e misto imperio, ossia prosternare la monarchia in quel tempo stesso che per la provvidenza di altri principi si rinforzava in Francia ed Alemagna. Dipoi le congiure de’ baroni contro Ferdinando I sdegnarono questo re, e furono cagione ad alcune leggi, che, avendo per concetto l’ira verso i signori non la carità per i popoli, rimasero ineseguite e spregiate. Della feudalità nel reame di Napoli l’età più altiera fu quella de’ regnanti aragonesi.

XXXIII. Non parlerò della momentanea comparsa di Carlo VIII, nè delle leggi non osservate che dettò Carlo V al suo passaggio di Napoli per Africa, commosso dalla miseria e dalle lamentanze delle nostre genti: dirò le miserie de’ governi vicereali cominciati ne primi anni del XVI secolo. Natura di quei governi fu la cupidigia fiscale, e suo mezzo primario la feudalità. Il parlamento dello stato, che da’ tempi di Alfonso di Aragona era composto di baroni, fissava nel viceregno i donativi alla corona pagabili da’ comuni; diminuiva l’adoa, tributo feudale, compensandone il fisco a più doppii sopra i vassalli; e molte altre eravezze immaginava, sotto nome di alloggi militari, di fortificazioni di marina, sopra le taglie ordinarie feudali o del fisco. Fu in breve tempo sì misera la sorte de’ vassalli che dimandarono in grazia di riscattarsi delle servitù baronali patteggiandone il prezzo co’ baroni, e dopo il riscatto far parte del demanio regio e pagare al fisco i tributi comuni: concessione di Carlo V non osservata allora ch’era benignità, confermata dipoi e seguita perchè trasformata in avarizia ed inganno.

A prezzo esorbitante, facendo prodigiosi sforzi, le comunità si ricomperavano; cd indi a poco (incredibile a dire) il governo regio le rivendeva, con le servitù di feudo, agli stessi o a nuovi baroni; sì che vedendone delle riscattate e vendute tre o quattro