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2 LIBRO SESTO — 1806.

fronto delle nuove alle antiche leggi, i casi, i dubbii legali davano materia ad altri libri, e servivano di autorità e di logica nelle contese. La giurisprudenza non era una scienza: ogni lite, comunque assurda, trovava sostegno in qualche dottrina, ed il maggior talento e la fortuna de’ giureconsulti consisteva nelle astutezze legali; sì che ancora sono in fama il Mazzaccara e ’l Trequattrini, benchè il foro acuto e malo ingegno fiorisse nel mezzo della passata età. Al considerare il corpo delle leggi essere l’opera di venti secoli, e quanti e quali i legislatori, come varie le costituzioni dello stato, le occorrenze dei principi, le condizioni de’ popoli, ciascuno intende che da codici discordanti non potevano procedere costanti regole di giustizia, nè sentimento comune di doveri o diritti.

Così delle leggi. Erano i magistrati que’ medesimi del regno di Carlo; ma regola suprema, non scritta, sempre usata, turbava ed invertiva gli ordini, dava nuovi poteri o toglieva i già dati, gli scemava o accresceva a piacimento del re. Spesso il favore di questo o la sola intemperanza d’imperio aggiungeva nuovi giudici agli ordinarii; componeva magistrati novelli, prescriveva nuove forme, nuovi processi, donde i nomi di ministri aggiunti e di rimedii straordinarii, si conti nella storia della curia napoletana. Da questi giudici, da quelle leggi discendevano giudizii lunghi, intrigati e così lenti, che nella causa tra........ e........... contesero sessantasette anni per conoscere solamente il magistrato cui spettava il giudizio. Nè mai sentenza aveva effetto sicuro, potendo distruggerla il ricorso per nullità o ad appello, e le astuzie forensi (che pur dicevano rimedii legali), e più spesso la volontà regia, quasi legge sopra le leggi che sospendeva il corso di alcune di esse, lo accelerava di altre, aboliva le antiche, e novelle ne creava. Per le quali sfrenatezze il procedimento non era calma necessaria di atti legali, ma un aggregato di fatti varii quanto i casi di fortuna o di regia volontà.

Assai peggiori de’ giudizii civili erano i criminali: inquisitorio il processo, inquisitori gli scrivani; magistrato, la regia udienza o il commissario di campagna o la vicaria criminale. Disusata la tortura agli accusati ed ai testimonii, non cessavano i martorii di carcere, di ceppi, di fame. Tassavano le prove, il delitto che più ne aveva, più gravemente punivasi; e così gl’indizii, non più argomenti alla coscienza de’ giudici, bensì membri del delitto, apportavano secondo il loro numero pena maggiore o minore di galera o di carcere. Durava, peggiorato, il giudizio del truglio (ignoro le barbare origini del vocabolo e della pratica), maniera di compromesso tra fiscale e lo stipendiato dal re difensore degli accusati, per cui questi andavano improvviso dal carcere alla pena d’esilio o di galere, non sentiti, non difesi, nemmeno compiuto il processo, contati e non scelti tra detenuti, a solo fine di vuotar presto le carceri e schivare