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52 LIBRO SETTIMO — 1808.

cou molta strage di popolo. Ma dall’opposta parte così deboli e di effetto lontano erano i benefizii del regno di Giuseppe e sì grandi e pubblici i sofferti mali, che ogni vicenda di stato piaceva alla moltitudine; la quale inoltre credendo che l’indole guerriera del nuovo re disdegnasse le odiose pratiche di polizia, sperava almeno cambiar dolori, che è genere di riposo nelle miserie. Era Gioacchino ancor lontano, e ricorrendo il giorno del suo nome, si fecero nella città e nel regno pompose feste, così come si usa per adulazione o timore de’ re presenti.

A dì 6 settembre di quell’anno egli fece ingresso nella città a cavallo, superbamente vestito, ma non col manto regio o altro segno di sovranità, bensì da militare qual soleva in guerra. Ricevè alla porta (simulata con macchine nella piazza di Foria) gli omaggi de’ magistrati, le chiavi della città, tutti i segni della obbedienza. Egli, bello di aspetto, magnifico della persona, lieto, sorridente co’ circostanti, potente, fortunato, guerriero, aveva tutto ciò che piace a’ popoli. Nella chiesa dello Spirito Santo prese dal cardinal Firao la sacra benedizione, con religioso aspetto, ma tenendosi in piedi sul trono. Passò alla reggia, e tutte le cerimonie con disinvolti modi adempì quasi re già usato a quelle grandezze; la città fu riccamente illuminata; l’allegrezza pubblica, quella che nasce da felici momentanee apparenze, fu sincera e per tutta la nulle si prolungò.

III. I primi atti del regno, concedendo perdono a’ disertori, convocando i consigli di provincia, restringendo alcune spese per fino a danno dell’esercito francese ch’era di presidio nel regno, furono benigni e civili; diede alcun soccorso ai militari in ritiro, ed alle vedove ed orfani dell’antica milizia napoletana, dal precessore abbandonati; riformò lo stemma della corona per aggiugnervi la insegna di grande ammiraglio di Francia, e mutar nel suo nome quel di Giuseppe. Ed erano i principii di regno oltrachè benigni, come ho detto, felici; la polizia aveva sospeso o nascondeva i suoi rigori; le feste per la venuta del re non appena terminale, ricominciarono i moti di allegrezza e i guadagni del popolo per altre feste che si apprestavano alla regina. Vi erano dunque molte speranze di pubblico bene e tutte le immagini di letizia pubblica, quando il di 25 di settembre Carolina Murat giunse in città. Fu la cerimonia meno magnifica di quella già fatta nello arrivo del re, ma più splendida per ammirazione della bellezza di lei e del contegno veramente regale, e per lo spettacolo di quattro figliuoli teneri, leggiadrissimi, e per il comune pensiero che a Gioacchino il diadema era dono di lei.

IV. Tra quelle feste il re maturò la spedizione di Capri. Quell’isola, come ho riferito nel precedente libro, tenuta dagl’Inglesi,