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50 LIBRO SESTO — 1808.

speranza o sospetto; lodatore del vivere modesto e privato; sollecito dei piaceri e delle lascivie di re; nei discorsi sempre onesto; nelle opere come voleva il bisogno; avido di ricchezze, quanto esige fortuna nuova ed incerta; desideroso di lauto vivere; al fratello imperatore obbediente, devoto; studioso di piacere a lui più che giovare al suo popolo. E perciò bastante all’uffizio di antico re, minore al carico di re nuovo.

Riformava lo stato, spesso per imitazione, sempre costretto ad introdurre nel regno le leggi e pratiche reggitrici della Francia; e quindi nelle opere di governo talora mancava la spinta del pensiero, e tali altre volte al concepimento non rispondeva l’effetto. Abolita, per esempio, la feudalità, buoni feudi si fondavano; pubblicato il sistema giudiziario crescevano le commissioni militari e i tribunali di eccezione; detestati gli spogli del governo borbonico, spogliavansi i possessori di arrendamenti, i compratori degli uffizii civili, le antiche fondazioni di pubblica pietà; abborrite le pratiche dli polizia del Vanni, esecrati i giudizii dello Speciale, giudizii peggiori, peggiori pratiche si adoperavano. Pareva che sopra le rovine degli errori distrutti nuovo edifizio di uguali errori si ergesse.

Ma senza contrappeso di mali si vedevano disciolti i conventi, divise le proprietà, cresciuto il numero dei possidenti, abbassato appieno il papato, stabilita la eguaglianza fra’ cittadini, premiato il merito, ristorate le scienze, venerati i dotti, avanzata la civiltà. Gli stessi errori, che di sopra ho narrato, trovavano scusa nelle licenze della conquista, nelle sollecitudini della guerra e delle ribellioni, nel fastidio delle novità; disastri gravi ad un popolo ma passeggieri. Le instituzioni e le leggi, sole cose che durano, erano conformi ai bisogni della società ed alle opinioni del secolo.

La riforma fu perciò imperfetta, spregiata dall’universale sotto Giuseppe, non pregiata (come dimostrerò) sotto Gioacchino; ma tale che per corso d’anni acquisterà forza e favore. Si vede in Enropa procedere, benchè respinta, la nuova civiltà, e dai lodatori dell’antico se ne fa troppo debito ai governi legittimi, incusandoli timidi o imperiti al maneggio degli uomini: mentre quella civiltà cresce come quercia nella foresta, che non muore dal perdere le foglie per asprezza del verno, nè dal troncar dei rami per forza di scure o di fulmine, avendo nella sua natura cagione e necessità di vita e d’incremento.