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LIBRO DECIMO — 1825. 317

chezza, i doni alla moglie Floridia, gratificava i famigliari; concedeva somme grandi alla chiesa per celebrar messe, pregava il figlio a mantenere le limosine ch’egli faceva in vita. E perciò fu visto che in carità dispensava ventiquattromila ducati all’anno.

I funerali, gli stessi de’ re di Spagna rammentati nell’ottavo libro di questa istoria, furon sì lunghi che Ferdinando trapassato il dì 4, scese alla tomba de’ re di Napoli, nella chiesa di Santa Chiara, il dì 14. Scomparve affatto dalla scena del mondo il giorno stesso che quattro anni innanzi nel congresso di Laybach, compiendo lo spergiuro, preparò guerra al suo popolo.

Visse anni settantasei, regnò sessantacinque: rara felicità di principe, che nella sua vita può governar tre vite del suo popolo. E poichè dove governa re assoluto le qualità di lui diventano qualità de’ sottoposti, meno per la creduta forza degli esempii che per quella più potente delle ambizioni, potrò disegnare molti vizii o virtù della moltitudine, raccogliendo le cose più importanti di questo re o sparsamente narrate ne’ dieci libri, o non dette ancora per difetto di opportunità. E quindi m’ingegnerò di scrivere in altro luogo la vita di lui con quella più breve pienezza che saprò.

XXV. Sono dunque al termine della mia fatica, e la ano a scri vere le ultime carte mi trema dal dolore che io sento a separarmi da un’opera che mi è stata compagna nell’esilio, consolatrice delle mie pene, promettitrice (lusinghiera forse) di fama. Ella empiva gli ozii nuovi ad un’anima operosa; ella ne’ mali che mi venivano dalla prepotenza, suggeriva i lamenti e le vendette; ma se spinto da troppo sdegno io prorompeva oltre i confini del giusto, ella, consigliera di onore, mi richiamava al vero, all’onesto; e me fatto povero e morente confortava della povertà col presente patrimonio di buon nome, e del fato immaturo con la mercede di più lunga vita nella memoria degli avvenire. Io dunque benedico i lunghi studii e il pensiero che mi venne da Dio di scrivere le istorie.

Ma delle miserie narrate, tante e sì gravi, è acerba la memoria e sconsolata. Fra le quali mi rimane fissa nell’animo la ingiustizia de’ giudizii del mondo, e, con ispezialità della Italia, su’ fatti della mia patria. Cosicchè vo’ raccorre in una pagina, l’ultima de’ dieci libri, le opere onorevoli sparsamente discorse di quel popolo, che solo in Italia serba il seme delle sperate miglioranze civili.

Derivarono da ordinamenti napoletani le prime in Italia revendicate libertà dalla tirannia della chiesa, e il frenato sacerdozio. L’autorità di quello leggi venne dal re Carlo Borbone, il consiglio dal ministro Tanucci, la forza dal popolo.

Virtù di governo che più crebbero sotto il re Ferdinando. La chinea, le offerte, i tributi, tutte le note vergognose di vassallaggio, religioni degli avi nostri, furono sbandite da noi.