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316 LIBRO DECIMO — 1825.

Si volse, più dell’usato, a’ facili ripari di devozione; comandò che doppiando fatica e spese fosse terminato il tempio di san Francesco, e prendendo giornaliero conto de’ lavori, spesso addolorandosi, diceva che non vedrebbe il compimento di quell’opera. E nol Vide.

Perciocchè al cader dell’anno 1824 egli ammalò, ma leggermente, così che ritornò a’ teatri e alle cacce. Nella sera de’ tre gennajo 1825, dopo il giuoco e le preghiere andò a dormire. Solito intorno alle otto della mattina chiamare un servo, nel dì 4 l’ora suonò, chiamava. Aspettarono, Chi vegliava alla sua custodia nelle vicine stanze accertava avere inteso, alle sei del mattino, tossire il re due volte. Scorreva il tempo; l’orecchio accostato all’uscio della camera nulla udiva; si fece consiglio de’ famigliari e de’ medici (presenti per uso di quella corte al destarsi del re), e fu deciso (erano le dieci ore) che anche non chiamati si entrasse. Ad ogni passo crescevano i sospetti, e furono viste le coltri ed i lenzuoli disordinati, e in essi avvolto il corpo del re così stranamente che pareva aver lottato lunga pezza; perciocchè un lenzuolo gli avvolgeva il capo, e quel viluppo sì nascondeva sotto al guanciale; le gambe, le braccia stravolte; la bocca aperta come a chiamare ajuto, o a raccogliere le aure della vita; livido viso e nero, occhi aperti e terribili. Si spande la nuova nella reggia; corre la famiglia, altri medici accorrono, non rimane dubbiezza o speranza: egli è morto di apoplessia, come più chiaramente fu visto all’aprire del cadavere.

La morte del re delle due Sicilie Ferdinando I fu bandita con editto del re delle due Sicilie Francesco I. Ma poco innanzi nella città, bisbigliata la nuova e creduto inganno della polizia per discoprire dalle risposte o dal gesto l’animo di chi l’udiva, tutti tremando e tacendo schivavano gl’incontri. Dipoi, rassicurati, si affollavano ne’ cantoni a legger l’editto, ritornavano a speranza di miglior governo; e taluno, sotto lo scritto, fra mille spettatori, baciò la terra, e ad alta voce ringraziò Iddio di quella morte come termine di universali sciagure. Ma subito punito, e punite altre allegrezze, e pubblicata dal nuovo re la vera o finta mestizia, il popolo si fe’ cauto e nella reggia si composero i volti e i discorsi a lutto. Era verace in alcuni, come nel principe di Ruoti vecchio amico del re, capitano delle sue guardie, nelle vicissitudini di regno consigliero di pace o taciturno; il quale nel deporre a’ piedi del nuovo re le insegne del comando, fu soffogato dal pianto.

II testamento del defunto re, olografo, fatto nell’anno 1822, accresciuto due mesi avanti al morire, confermava le successioni al trono stabilite da Carlo III suo genitore; chiamava erede al regno duca di Calabria. Francesco: accresceva all’altro la ric-