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LIBRO DECIMO — 1824. 315

conciossiachè la figlia di lui era maritata in Torella. All’entrar nel sepolcro per depositare la or ora defunta, la giovine principessa Carolina Saliceti, che accompagnava il feretro, volse mesta lo sguardo verso l’avello del padre, e non vedendolo dove già fu posto, dimentica di ogni altra cosa, abbandonò la cerimonia, e fra quei tumuli andò cercando e chiamando per nome le ceneri che non trovò. Perciocchè, mutate le sorti de’ napoleonici, alcun superbo della casa Caracciolo (non al certo l’attual principe Torella, onesto e nobile) disdegnando le spoglie del Saliceti, le fece involare e disperdere, o deporre in altra fossa. La infelice donna, fatta certa del sacrilego furto, cadde in quel luogo istesso tramortita, e ne perdè il senno, che poi ricuperò, così che sente profonda ragionevole melanconia.

Morì il chirurgo Bruno Amantea, di tanta carità verso i poveri, che la fama di eccellente nell’arte dalla fama di pietoso era vinta. La sua malattia destò all’universale timore ed ansietà, la morte fece versar molto pianto, i funerei officii furono seguiti da tanto popolo che a stento capiva nella strada vastissima di Foria. Di rincontro alla piccola casa di lui si appese una cassetta collo scritto: «Il denaro delle offerte servirà ad ergere una cappella votiva pel chirurgo Bruno Amantea or ora morto.» Ma vi si potè in breve tempo fabbricare una chiesa col nome di Santa Maria delle Grazie.

Morì il medico Domenico Cotugno, dotto, eloquente, chiaro per nuove dottrine. L’esequie fu magnifica quanto quella dell’Amantea, ma di altri onori, perciocchè l’accompagnarono i medici, i dotti, tutti i professori, tutti gli studenti della città. La sua effigie in busto di marmo fu posta con pietosa cerimonia nell’ospedale degl’incurabili, ed altra in bronzo sopra medaglia è meritamente riverita nelle accademie, nelle università, ne’ musei.

Tra le morti dolenti ed onorate che ho descritto, due ne seguirono di contraria fama: del cavalier Vecchioni e del marchese Circello; che, ministri del re, furono timidi ne’ pericoli, superbi nelle venture, sempre tristi. Furono pompose le esequie, ma comandate; crebbe di entrambo nel sepolcro la mala fama. E più fiera la morie fu verso i re, perocchè ne spense cinque, in quel solo anno 1824, tra’ quali ve n’ebbero due della casa de Borboni, Luigi XVIII re di Francia e Maria Luigia duchessa di Lucca già regina di Etruria.

XXIV. Tante morti e di re e di amici, tanti disastri di natura e tanto pubblico danno, scossero il petto del re Ferdinando, debole per natura, più abbattuto dall’età e da una religione ch’era in lui non d’altro che di paura; e benchè egli fosse sinceramente re, credendo sè di specie più che umana, i suoi popoli suoi schiavi, e sacre le sue ragioni nella vita e roba de’ soggetti, pure intimorendo sospettava, vicino al suo fine, severo giudizio innanzi a Dio.