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LIBRO DECIMO — 1822. 313

nel regno le speranze di miglior governo, conforti rinascenti di popolo afflitto spesso delusi. Il re in breve tempo si apprestò alla partenza, e si mosse. Usciva dalla reggia quando il Vesuvio vomitava torrenti di fuoco, abbujava il cielo per cenere, scuoteva intorno la terra; orrori e pericoli meno spaventevoli a noi, come frequenti. Giunse a Verona con sontuosa pompa, essendo genio de’ Borboni magnificarsi per le ricche apparenze. In Napoli null’altro sapevasi del congresso fuorchè offici scambievoli e riverenti, feste, cerimonie, diletti. Qualche cosa di stato si conobbe al cominciar dell’anno 23 per la pubblicata circolare del congresso agli ambasciatori di tre potentati, russo, prussiano, austriaco. Diceva, che a richiesta del re del Piemonte uscivano da quello stato i presidii austriaci, ed a richiesta del re di Napoli minoravano (da quarantaduemila a trentamila) nelle due Sicilie, Parlando della Grecia, e biasimando la ribellione di quelle genti all’impero legittimo de’ Turchi, palesava che la santa alleanza avrebbe inviato eserciti a sostegno della legittimità ottomana, se l’imperator delle Russie non avesse preso impegno di conciliare gl’interessi dell’umanità e dei troni. Trattava infine della Spagna, e, adombrando la vicina guerra, diceva che si richiamerebbero gli ambasciatori da quello stato sconvolto.

XX. Sciolto il congresso di Verona, il re di Napoli andò a Vienna. L’età grave di lui, la stagione invernale (era il dicembre), l’allontanamento da’ piaceri della caccia e dell’impero, il viver privato, deposte le usanze di lunga vita, accreditavano il sospetto ch’egli lasciasse il freno del governo al figlio duca di Calabria, per rinunzia stabilita nel congresso; le quali pubbliche speranze presto caddero col suo ritorno in Napoli. Ma è cosa certa, sebbene oscura, che in congresso fu trattato di quella rinunzia e della separazione de’ due regni delle Sicilie, per disegni dell’Austria, contraddetti dalla Francia, fallati per voto della Inghilterra. Tornato il re in Napoli, si fecero nella città luminarie e feste, in corte circoli ed aringhe, sdegnandosi il mondo alla eccessiva adulazione de’ seggetti ed all’alterezza del re, in tanta pubblica miseria, colla coscienza de’ comuni falli. Il principe Ruffo e ’l general Clary, poco innanzi nominati ministri, furono dimessi; non meritevoli della presente sventura, nè della fortuna precedente. Il cavalier Medici ritornò nella sincera grazia del re, che gli accrebbe onori e potere.

XXI. Cessate nell’assenza del re le condanne di morte, il popolo si rinfrancava dal terrore, quando, poco dopo il ritorno, furono giustiziati cinque carbonari, che nel 1820, usciti di taverna ubbriachi, traversando fugacemente in carrozza la città detta Cava, sventolarono le insegne della setta, e gridarono voci di libertà; ma infeconde di tumulti o delitti. Al tempo stesso rinvigorirono tutte le specie del rigore, non per nuovo comando del re, ma perchè i