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LIBRO DECIMO — 1822. 311

doglio di lei, il nome, la famiglia, la pietà della inchiesta mossero la gentildonna a pregare il marito, il quale avendo in animo di campar dalla morte i condannati, fuorchè i due primi, rispose: farebbe grazia. La principessa ritornò alla misera che incerta ed ansante aspettava; e quella, inteso il felice annunzio corse, anzi fuggì verso il carcere, ed arrivata, gridò ripetute volte: «Tupputi, la grazia è fatta.» Ma gl’infelici non udivano quelle voci, perciocchè la cappella del mesto uffizio sta in loco recondito, lontano dalla porta e dalle strade. Avvertita di ciò la Mesuraca, pregò i custodi e le guardie, offrì larga mercede a chi primo giungesse coll’avviso: ma tutti rifiutavano, impediti a penetrare in quel secrceto di religione e di spavento. Così che disperata si aggirava intorno al vasto edifizio della vicaria, e dovunque vedeva o finestra o spiraglio gridava con voce altissima e pregava il popolo a gridar seco: «Tupputi, Colentani, Gaston, la grazia è fatta.» Tanto romore, tanta pietà produssero l’effetto; Tupputi e gli altri furono avvisati della ottenuta salvezza; e per molte vie ritornò al pubblico l’annunzio che i condannati n’erano intesi ed allegri. Allora cessarono le voci e i moti della Mesuraca; ma le forze, sino a quel punto sostenute dall’ansietà, le mancarono; e dalle braccia del popolo fu trasportata nella nobil casa del padre.

XVII. Le grazie del re indi a poco si pubblicarono: la pena di morte fu mutata in ergastoli o galee a vita, le minori pene si attenuarono. Solamente inflessibile fu l’animo regio per Morelli e Silvati, che il giorno istesso morirono sulle forche. Agli altri campati dalla morte, si recisero i capelli, s’imposero vesti e ferri di pena, si accoppiarono (però che in quel martirio son tenuti a coppia) con altri condannati per delitti vituperevoli, e così andarono agl’infami scogli di San Stefano e Pantelleria. Dei sette giudici i tre benigni furono per simulate cagioni cassi d’impiego, gli spietati promossi; il procurator generale Calenda dimesso affatto, Brundisini avanzato; più rimunerato il Girolami dell’esempio, primo nella curia napoletana, che in causa di morte, anzi di 30 condannati a morire, la parità fra giudici si sciolga dal voto del presidente per la sentenza più cruda. Co’ quali o premii o pene il governo palesava l’animo fermo al rigore, ed a’ giudici comandava severità cieca, libera da’ rispetti di ragione o di coscienza.

XVIII. Spedita la causa di Monteforte, e le altre, come innanzi ho riferito, per i tumulti di Messina, Palermo, Laurenzana, Calvello, e la causa di Giampietro, ed altre cause minori; sfogate cento vendette o della legge o dello sdegno; versato tanto sangue di cittadini e tanto pianto: non però si mitigava l’acerbità de castighi. Furono condannati a morte in contumacia, e poco appresso dichiarati nemici pubblici, nove fuggiti; primi de’ quali i generali Ca-