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LIBRO DECIMO — 1822. 307

di Monteforte, fu riprovata la lentezza dei giudici, e minacciata per lo avvenire; le massime del Canosa, con pubblica maraviglia, duravano ne’ consigli del Medici, così che il mondo pende incerto se l’uno o l’altro, a paragone d’opere malvage, fosse più tristo.

XV. Nel nuovo ministero ebbe adempimento una legge dettata dal re un anno innanzi, e rimasta ineseguita e scordata, non so se per le voglie del Canosa o per altre mire di stato. E poichè ne’ quattro anni che sì racchiudono in questo libro fu quella legge il solo atto di governo fra mille d’impero, io ne descriverò i dettati a parte a parte. Nella lettera che il re da Laybach, il dì 28 gennajo 1821, scrisse al figlio, riportata nel nono libro di queste istorie, promise al popolo di volersi consultare con alcuni de’ soggetti sopra ciò che bisognasse al riposo e prosperità del regno. Ora, dicendo voler mantere quelle promesse, raduna per consiglio nella reggia diciotto personaggi, il marchese Circello, il cardinal Ruffo (famoso per le rivoluzioni del 99), il principe di Canosa, altri non men tristi, e pochi, benchè di buona fama, timidi e servili. A quel consesso si fecero cinque dimande in affari di stato, ed essendo espressa nelle dimande istesse la volontà del governo, il divolto consiglio rispose affermando, e si decretò:

Che le due Sicilie si governassero separatamente, sotto l’unico impero del re: fossero proprie le imposte, la finanza, le spese, la giustizia criminale e civile, e proprii gl’impieghi, così che nessun cittadino di uno stato potesse aver carica nell’altro. Separazione, che, alimentando le malnate discordie fra i due popoli, apporta servitù comune nella pace, debolezza e infortunii nella guerra.

Che il re trattasse le cose di regno in un consiglio di stato di dodici almeno, sei consiglieri, sei ministri.

Che le leggi o i decreti e le ordinanze in materia di governo fossero esaminate da un consesso di trenta almeno consiglieri per lo stato di Napoli. dieciotto per la Sicilia, col nome di consulte, da radunarsi separatamente in Napoli e Palermo.

Che le imposte regie fossero distribuite in ogni provincia per ogni anno da un consiglio di provinciali, con facoltà di proporre alcun miglioramento nell’amministrazione degli stabilimenti pubblici o di pietà.

Che le comunità si amministrassero con ordinanze più libere delle antiche, le quali sarebbero dettate dal re, dopo intesi i consigli dello stato.

I membri de’ sopraddetti consessi, cioè ministri, consiglieri di stato, consiglieri delle due consulte, consiglieri provinciali, tutti a scelta del re ed a suo piacimento mutabili. L’esame prescritto dal re, il voto dei congressi consultivo, la volontà regia sempre liberi. I ministri sindacabili ma dal re. Le medesime instituzioni erano