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306 LIBRO DECIMO — 1822.

Medici o non avversi: Canosa fu scacciato con istipendii più ricchi e chiare pruove di regale affetto. Nel pubblico si alzarono le speranze, però che si credea mutato l’ingegno del re, mentre mutava l’apparenza sola del favore. Il prestito con Rothschild fu subito fermato, e poco appresso altro prestito, ed altro, sempre con patti giovevoli all’Ebreo; così che il debito dello stato di ducati ottocentomila d’annuo interesse quando Gioacchino regnava, salito ad un milione e settecentomila sino all’anno 20, non punto accresciuto nel reggimento costituzionale, montò a cinque milioni e mezzo ne’ tre anni dal 21 al 24. E però all’universale faceva tedio e dispetto leggere ad ogni nuovo prestito e nuova taglia, ne’ preamboli delle leggi, che il re n’era costretto da necessità derivanti da’ guasti de’ due regni francesi e della rivoluzione dell’anno 20. Scherno al popolo che pagava in oro le sue catene.

XIV. Partirono nel tempo stesso Medici da Firenze, Canosa da Napoli che tornò all’antico asilo di Pisa. E poichè di questo uomo ho narrato molti fatti sparsamente nelle mie istorie, dirò quel che rimane; sperando durevole il presente stato di lui, per quanto la vita gli durerà. Egli, in Pisa, nel primo esilio invaghì di Anna Orselli figliuola di un cenciajo, sventurata per disonesta madre che vendeva le proprie vecchie libidini e le nuove della fanciulla. Nel secondo esilio, rimasto vedovo, fra gli ozii a lui penosi della vita privata, avendo avute due figliuole da quella femmina, la fece sua moglie; ma per fuggir la vergogna partì da Pisa e si raccolse in Genova colla sposa e la suocera. Il padre di lei nol seguì: e pregato dal genero a lasciare per larga mercede il povero mestiero, non volle, nè volle acceltar doni; sempre dicendo ch’egli abborriva le antiche disonestà delle sue donne, e le recenti nozze con uomo disuguale, tenuto malvagio nel mondo, e che la presente miseria eragli onorata, e più lauta vita ricorderebbe le sue vergogne. Così egli vive in Pisa da povero cenciajo; ed il Canosa, in Genova, solitario, o da male persone visitato, tra suocera e moglie svergognate, con cinque figli bambini, scacciato da quella patria dove governano le sue massime, lontano dalla famiglia vera di figli e congiunti ragguardevoli, senza amici, senza seguaci se non pochi tristi, ancora straziato dalle ambizioni e da brama (che Iddio frastorni) di più vaste vendette.

Ma nel regno la speranza di miglior governo decadeva, perciocchè la gioja pubblica per il ritorno del cavalier Medici, e l’odio contro lui ancora vivo del re, così che ne’ consigli nol mirava in volto, avvisarono quello astuto e vecchio ministro che gli bisognava demeritar le lodi del pubblico, e molcere l’animo del suo signore; cose che otterrebbe straziando gli afflitti. Altri cento e cento furon perciò rimossi dagl’impieghi, crebbe il numero de’ prigioni, de’ confinati all’isole di pena, de’ mandati in esilio; si accelerò il processo