Pagina:Storia del reame di Napoli dal 1734 sino al 1825 II.pdf/308

304 LIBRO DECIMO — 1821.


X. Alle descritte civili calamità si aggiunsero le naturali: turbini per i quali restarono devaslate smisurate terre, ed uomini feriti ed uccisi; fulmini, che in un giorno istesso, ad ore varie e varii luoghi spensero sei persone; la città del Pizzo, infame della morte di Gioacchino, restò più ore sottomessa dalle onde marine per furioso vento sollevate, tre uomini vi furono morti, la città ingombra di sassi e d’alga; il Vesuvio, da lungo tempo innocente, eruttò più volte fiamme, ceneri e lava; la maggior volta in ottobre, e, benchè coprisse di sè molta terra, fu danno leggero a confronto dell’altro che derivò dalle piogge di ceneri e lapilli, che addensate per acqua in dura materia insterilirono vasti e fertili campi. Nella città del Vasto, molte case franarono; ma però che il moto cominciò lento, gli abitanti salvaronsi, e i precipizii coprendo terre ubertose addoppiarono i danni. Nelle Calabrie, negli Abruzzi, nella Sicilia continui tremuoti scuotevano gli edifizii, ed opprimevano parecchi abitatori. Così quell’anno 1822 fu mestissimo.

Ma, sia freddezza per le altrui sventure o prudenza di regno, il re e la sua casa vivevano lietamente; ora festeggiando i dì natali e de’ nomi, ora onorando i principi stranieri, perciocchè in quell’anno il re di Prussia, i suoi figli ed il sovrano di Lucca vennero a diporto nella città: e poco appresso, sopra vascello napoletano, arrivò la già imperatrice duchessa di Parma, vedova Bonaparte, ammirata per quelle nozze, ch’ella ingrata e sola nel mondo non ricorda e dispregia. Altro scandalo per gli afflitti popoli erano i palesi amori del re con una giovane danzatrice (Le Gros), per bellezza e lascivie famosa. Ed in quell’anno istesso con pubblica festevole cerimonia si espose nell’edifizio de’ regii studii la statua in marmo del re, colossale, in foggia di guerriero, opera del Canova.

XI. Il re conceedè profusamente titoli, dignità e ricchezze a’ militari austriaci stanziati nel regno: il general Frimont fu creato principe di Antrodoco, e donato di ducati duecentomila con lettere del re che dichiaravano la gratitudine sua e della sua stirpe per il riacquistato impero. E tutto ciò ne’ giorni medesimi, che, sciolto l’esercito napoletano, il re toglieva gradi, onori e stipendii a que’ militari suoi soggetti, che per guerra o lungo servire gli meritarono, e distruggeva la convenzione di Casalanza. Vero è, che non osando rompere un trattato dalla fede dell’imperator d’Austria garentito, ne fè richiedere l’imperial ministro Fiquelmont, che subito replicò essere facoltà regia, ed anzi debito di politica distruggere quello accordo. Fu distratto. Si trovaron puniti della rivoluzione dell’anno 20 gli assenti da Napoli, gli avversi, gl’innocentissimi, e di quel mancamento non fece coscienza il re, non ne alzò grido l’imperatore, ne menò vanto il ministro Fiquelmont: tanto poco stimavano la religione de’ giuramenti.