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302 | LIBRO DECIMO — 1821. |
In Aversa il vescovo Tommasi ambizioso e caldo partigiano della tirannide, dimentico della carità del suo ministero, spiava i colpevoli di stato; gli accusava, instigava il governo a punirli, o, dove bastasse l’autorità di prelato, li puniva. Per lui stava in carcere un prete (Mormile), sostegno alla famiglia, venerato in patria, i congiunti del quale per continui prieghi e per lacrime speravano di ammollire lo sdegno del persecutore; ma quegli, un giorno infastidito superbamente lor disse: Sino a tanto piacerà a Dio tenermi vescovo di Aversa, resterà il Mormile imprigionato. La qual sentenza diretta al giovine che lo supplicava, Carmine Mormile, produsse che subito cessasse dal pregare, e con gli altri della famiglia partissero. Soleva il vescovo al dechinar del giorno andare a diporto in carrozza; e il giovine Mormile informato di quell’uso, poche ore dopo i feroci detti, nella pubblica piazza lo attese, e vedutolo si appressò, lo chiamò per nome, gli scaricò nel petto un arme da foco che tenea celata sotto le vesti, l’uccise e disse: Or non sei vescovo di Aversa, Iddio avveri la tua sentenza.
In Palermo la setta de’ carbonari, debole nel 1819, accresciuta dopo i trionfi del 1820, più numerosa benchè flagellata nel 1821 si adunava nella notte in alcune grotte dalla contrada di San Spirito, lungi un miglio della città. Di che informata la polizia, sorprese i settarii (in quella notte soli 14) armati ed ornati de’ fregi della setta. Cinque tra loro, per amor di salvezza e per malvagità, denunziarono altri compagni, altri ricoveri, e disegni, e speranze; così che varie sorprese, e molti arresti seguivano. Ed allora gli ancora liberi, sperando salute da un generale sconvolgimento, passati gli avvisi alle società compagne dell’isola, si tenevano nascosti ed armati ne’ boschi aspettando l’opportunità di prorompere. Ma il governo, sapute o sospettate quelle opere e quelle speranze, accresceva rigori, faceva provvedimenti di sicurezza e prudenza; i presidii tedeschi si chiusero ne’ forti della città; le milizie napoletane erano tenute in riserva ne’ quartieri: i loro capi, fidi al re, sospettando le proprie schiere, stavano costernati e inquieti; la polizia più che non mai era operosa e tiranna. Fra sollecitudini e dubbiezze sì gravi passavano i giorni.
IX. Inique leggi, pratiche inique, reggitori spietati ed ingiusti, passioni del popolo ardenti e ree, coscienze sfrenate, generavano misfatti gravi e continui, famiglie intere distrutte, cento e cento vendette satollate. Nè solamente nell’infima plebe, ma negli alti della società per natali o grado. Si udivano tuttodì preti ribelli ed uccisi, preti sicarii di polizia, ed uffiziali dell’esercito onorarsi del mestiero di birro; ed intendenti e comandanti di provincia straziar persone innocenti; e magistrati denunziatori in secreto, e poscia delle loro accuse giudici iniqui.