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LIBRO NONO — 1821. 281

non concertava i ritorni; nascose le vicine ostilità ai condottieri di due proprie legioni stanziate in Ascoli e Tagliacozzo. Assaltare un campo nemico, far molti o pochi prigioni, spedirli a suo trionfo nella città, occupar del suo nome la fama benchè di un giorno, erano le sognate felicità della sua mente.

Quelle lettere del generale giunsero in Napoli al mezzo del dì 8, e confermarono i timori suscitati dalla gazzetta del giorno innanzi; tanto più che a quell’ora erano ignote a noi ma già decise le sorti della battaglia, e fatta irrevocabile la guerra, impossibile la pace. Di ciò informati nel giorno istesso il parlamento ed il pubblico, si produssero poche insensate speranze, mille ben fondati timori, e comune incertezza che durò sino alla mezzanotte del 9; quando giunse in Napoli spedito dal generale, senza sue lettere, il maggiore Ciancialli, testimonio di quegli eventi, che riferì: il general Pepe nel dì 6 aver fatto marciare verso Antrodoco due legioni per la diritta del Velino, altra per la sinistra; ma che non essendo paralleli i due cammini, le colonne restarono separate da molto spazio e dal fiume. Che la mattina del 7 colla schiera più poderosa, non aspettando l’ajuto ed il giungere dell’altra e discendendo i monti di Antrodoco, assaltò Rieti ove i Tedeschi ordinati a difesa, poi che videro dubbietà e lentezza negli assalitori, uscirono dalla città in tre colonne; con una investendo la fronte, con altra il fianco della nostra linea, e tenendo addietro la terza in pronto agl’infortunii o alle venture della battaglia. Vacillarono le nostre giovani bande, si ritirarono le prime, non procederono le seconde, si confusero le ordinanze. Ed allora avanzò prima lentamente, poscia incalzando i passi, ed alfine in corsa un superbo reggimento di cavalleria ungherese, sì che nell’aspetto del crescente pericolo le milizie civili, nuove alla guerra, trepidarono, fuggirono, strascinarono coll’impeto e coll’esempio qualche compagnia di più vecchi soldati, si ruppero gli ordini, si udirono le voci di tradimento, e salvarsi chi può, scomparve il campo. Il generale Giovanni Russo, affaticandosi senza profitto a rattenere i fuggitivi, avanzò col piccolo suo drappello, scontrò il nemico, e per breve combattere lo spinse a ritirarsi. Proseguirono nella succedente notte i disordini dell’esercito: Antrodoco fu abbandonata; il general Pepe seguiva i fuggitivi; il messaggiero, allorchè parlava, credeva perduti gli Abruzzi. Fu questo il suo racconto; ma poco appresso per mille bocche disse la fama che il generale condottiero, inesperto, dagl’inattesi eventi sbalordito, paventò anch’egli e fuggì; non si fermò all’Aquila, non a Popoli, non a Solmona: nol ritenne bisogno di riposo e di cibo, sempre cacciato dalla pungente memoria del 6 luglio.

Dirò di lui quel che rimane. Primo dei fuggitivi giunse in Napoli, dimandò ed ottenne (tanto ancora potevano audacia in lui, timidità