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LIBRO NONO — 1821. 277

dove la natura più dell’arte contrasterebbe al nemico; perciocchè là la i monti non seguono la legge ordinaria di catene primitive e contrafforti, ma confusamente si aggruppano come se tremuoto gli abbia sconvolti, cosicchè s’incontrano ad ogni passo inaspettati rivolgimenti e torrenti ed angustie.

Perduta questa linea, si muterebbe il genere di ritirata, e l’esercito diviso e sparso marcerebbe per vie diverse nelle Calabrie, dietro Spezzano e Belvedere fortemente munite. Altra resistenza si preparava sopra i gioghi di Tiriolo, alto e stretto monte degli Apennini, le cui pendici finiscono nei mari Jonio e Tirreno. Ed infine un gran campo sulla riva del Faro accoglierebbe l’esercito per passare in Sicilia, donde poi ristorato ed accresciuto tornerebbe alle sorti varie della guerra. Comprendevano questo ultimo campo le fortificazioni un dì erette da’ Francesi nella Calabria, dagl’Inglesi nella Sicilia, contrapposte e per dieci anni nemiche, serbando ancora i segni delle scambievoli offese.

Forse i dotti della guerra moderna biasimeranno il gran numero degl’innalzati forti, le tante guernigioni, le spicciolatedi fese, e però mi è d’uopo rivelar qual era ne’ disegni del consiglio l’intendimento di quella guerra. Un solo de’ generali, Guglielmo Pepe, vedeva nelle nostre milizie, vecchie o recenti, zelo e valore invincibile; ma gli altri più esperti dell’indole napoletana, e meno ebbri di temeraria grandezza, sapendo nuovo l’esercito, debole la disciplina, credevano che i soldati si smarrissero all’inusitato aspetto e romore delle armi; e poichè il nemico a gran giornate procedeva verso il regno, e le nostre schiere dovevano al tempo stesso combatterlo ed agguerrirsi, erano vantaggi per noi guadagnar tempo, esporre i contrari allo impedimento ed alle perdite di cento assedii, obbligarli a combattimenti piccoli e continui, avvezzar l’occhio e ’l pensiero de’ nostri militi ai cimenti del campo. Ed oltracciò la nostra guerra era nazionale o nulla, che non potevamo sperar trionfi di Austerlitz o Marengo, ma il vincer lento de’ popoli. Bisognavano perciò luoghi forti che a’ cittadini armati dessero opportunità di sorprese, appoggio negli scontri, ricoveri nelle sventure; e tali che si ajutassero a vicenda e si collegassero ad alcuni prestabiliti centri di operazioni. Erano centri Civitella, Chieti ed Aquila negli Abruzzi, Montecasino e Capua in Terra di Lavoro, Santelmo in Napoli, Ariano in Puglia, Tiriolo in Calabria; ne’ quali accampavano stuoli numerosi, che secondo i casi assalterebbero il nemico, correrebbero le campagne, si porrebbero sopra i monti a mostra e minaccia.

Altre difese popolari si proponevano: ogni paese sulla linea di operazione del nemico sarebbe chiuso e custodito dalle guardie urbane: innanzi di cederlo si trasporterebbe in luoghi sicuri ogni mezzo di guerra e di vitto; il non farlo sarebbe colpa, il farlo non