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LIBRO NONO — 1821. 273

gli uni giusta la guerra, per gli altri necessaria. E così stavano le opinioni comuni, quando al vegnente giorno il parlamento si adunò fra genti spettatrici, molte ma tacite, imperciocchè la gravezza de’ casi e lo smarrimento comprimevano la usata popolare loquacità.

Primo a parlare fu il deputato Borrelli: a lui ed ai molti che succederono soprastava per forza di ragioni e di eloquenza i! discorso del Poerio. Dimostrò libere nel passato luglio le concessioni del re a’ sudditi; e quella regia libertà più certa, quando chetata la popolare allegrezza (allegrezza non ribellione) mancava per fin l’aspetto di politico sconvolgimento; e certissima quando il re sul vascello inglese ripeteva le sue promesse, certissima quando arrivato in Livorno, certissima quando al giungere in Laybach non protestava di patita forza. Per lo che dimostrò la ingiustizia delle decisioni di Laybach, la illegittimità delle straniere intervenzioni; per esse i pericoli della civiltà europea; e conchiuse, come gli altri oratori, per la guerra. Il parlamento, dichiarando il proprio re prigione di altri re, la sua libertà in paese straniero violentata, e forzato lo scritto, decretò la guerra. Queste dichiarazioni non vere, non credute, si fingevano per evitare la taccia e ‘l pericolo di ribelli. Un drappello di deputati presentò con indirizzo quel voto al reggente, che aderì; e quindi la guerra per grido e per legge fu promulgata. Animosa sentenza, che invaghì la maggior parte dei cittadini, per fino i più schivi e i più timidi. Il general Pepe ne fu lieto come di certo trionfo; ne furono lieti coloro ch’erano in maggior rischio, i settarii: e per tanto giubbilo, quasi mutata in virtù la temerità del picciol popolo, che allegro affronta gli eserciti dell’Europa, sembravano magnifiche le stesse avversità, le stesse rovine. Gli ambasciatori stranieri, gli osservatori della rivoluzione, gli uomini più sapienti crederono a quella ebbrezza. Il principe di Salerno, figlio del re. dimandò di servire nella guerra; e dimandarono lo stesso cimento il duca d’Ascoli vecchio amico del re, il giovine Partanna figliuolo della moglie del re, un Niscemi figlio del principe che stava col re in Laybach: e poi della casa e della corte i nomi più cari al monarca, più devoti della monarchia. Gli offerti servigi di ognuno furono accolti e graditi.

Ma importa discorrere qual fosse lo stato del regno in quel giorno di sicura guerra. Le speranze della rivoluzione mancate o cadenti, i rivoluzionarii delusi, la fiducia pubblica spenta, il popolo ricreduto, la carboneria tralignata, tradita da’ suoi, menata dagli astuti servi del potere; il re contrario, e fattosi guida alle squadre nemiche; il reggente, figlio, suddito, confidente del padre, capo dell’esercito napoletano; di questo esercito i generali svogliati, gli uffiziali disobbedienti, la soldatesca ribalda; povera la finanza, gl’im-

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