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268 LIBRO NONO — 1821.

dannosa modestia, sconosciuta da’ principi d’Italia e da’ congregati.

In quel tempo un delitto privato ebbe pretesto ed effetti pubblici. Era in Napoli un Giampietro, in gioventù avvocato, caldo ed onesto partigiano di monarchia, amante de’ Borboni, esiliato perciò dal re Giuseppe, richiamato da Gioacchino, intemerato sotto i re francesi. Al 1815 le sue affezioni trionfarono, ma non però il governo gli diede impiego, e della ingrata dimenticanza egli si dolse. Due anni appresso fu nominato prefetto e poi, come ho narrato, direttore di polizia; le quali cariche per sè malefiche, in tempi difficili e corrotti, gli procacciarono mumerosi nemici. Vero è che molti settarii erano stati per suo comando imprigionati o sbanditi, senza giudizio, senza difesa; pratiche inique, infeste all’innocenza, infeste per fino alla colpa, grate o necessarie a governi assoluti. Per la rivoluzione di luglio tornarono potenti quegli afflitti da lui; tornò egli privato ed oscuro, vivendo tra pochi amici e numerosa famiglia. Una notte, uomini armati, che si dissero della giustizia, andarono in sua casa; ed il capo impose a Giampietro di seguirlo: ma benchè autorevole fosse il comando, la voce balbuttiva, ed il sollecitare udivasi ansante come di misfatto, non riposato come di servizio e di zelo; mentre i compagni, evitando studiosamente la luce, nascondevano il viso alla famiglia ed ai famigliari. La moglie ed una giovane figlia furono prime ai sospetti; poi tutti della casa, e come voleva età, sesso, e misera condizione, proruppero in pianto, ed abbracciavano le ginocchia degli assassini; i quali ai lamenti più imperversavano, perchè faceva pericolo il romore. L’infelice padre, rapito sotto gli occhi di tenera moglie e di nove figliuoli, quasi all’uscio della sua casa è trafitto di 42 punte, collo stesso pugnale: gl’infami si prestavano il ferro per incrudelir sulle spoglie.

Fatto noto il delitto, la città si spaventò, tanto più che falsamente si diceva essersi trovato scritto sopra cartello, chiodato in fronte al cadavere, numero primo. Si citavano ventisei disegnate vittime, e perocchè ciascuno a suo talento ne indicava i nomi, le fiere liste spaventavano innumerevoli cittadini. Crebbe il terrore al sentire preparato il misfatto nelle notturne adunanze di carboneria, ed all’osservare il silenzio e la pazienza dei magistrati, non già per assentimento, ma per paura. Il cavalier Medici, nominato in molti fogli, fuggì sopra nave a Civita-Vecchia, indi a Roma; e l’alto nome, il pericolo, la fuga, i discorsi screditarono la rivoluzione di Napoli, non avvertendo gli uditori quanto egli fosse falso istorico di quei fatti, e cieco giudice. Il conte Zurlo, mal visto e minacciato, cercò asilo sopra fregata francese ancorata nel porto, e l’ottenne benevolo e riverente. Altri minori non offesi nè ricercati, ma timidi o nelle pubbliche rovine ambiziosi e speranti, fuggirono,