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LIBRO NONO — 1820. 265

o speranze di pace innanzi che assentissero alla nostra costituzione i sovrani di Europa. Ripetè la dimanda che lo accompagnassero quattro deputati, suoi consiglieri nel congresso, e testimonii a noi della sua fede.

Pubblicato questo nuovo messaggio, divolgata la parlamentaria decisione, caddero i sospetti e i tumulti, L’indirizzo che al re manifestava il voto del parlamento rendeva grazie del proposito di assicurare al popolo le sue libertà, rammentava continuo la santità del giuramento, si scusava dal chiesto accompagnamento dei deputati, non a disprezzo del regio invito, ma perchè la sua sapienza non abbisognava di consiglieri, nè la sua fede di testimonii. Questo scritto fu presentato al re con gran cerimonia da ventiquattro deputati del parlamento; dei quali l’uno, Borrelli, ne rapportò i sensi con maggior forza della scrittura, come è permesso al discorso. Ed il re, che già nei messaggi aveva scritto più volte che giustificherebbe la fidanza posta in lui. rispose: «Io vado al congresso per adempire quanto ho giurato. Lascio con piacere l’amato figlio alla reggenza del regno. Spero in Dio che voglia darmi tutta la forza necessaria alle mie intenzioni.» Dopo ciò, gli stessi deputati gli presentarono, per l’approvazione; le riforme alla costituzione spagnuola, e la scelta dei consiglieri di stato; ed il re promise di rispondere dopo consiglio. Difatti nel seguente giorno nominò i consiglieri; ma, usando la regia facoltà, disapprovò la proposta legge che stabiliva sceglierli per provincia. In quanto alle riforme avvertì che mancava il tempo all’esame di materia sì grave, sembrandogli pericoloso e sconvenevole trattar con fretta, per leggiero giudizio, le leggi che fissar dovevano le sorti eterne del regno.

Affrettava il partire, Scrisse lettere al figlio, non pubbliche, nè da re; ma private, da padre: «Benchè più volte io ti abbia palesato i miei sensi, ora gli scrivo acciò restino più saldi nella tua memoria. Del dolore che provo in allontanarmi dal regno mi consola il pensiero di provvedere in Laybach alla quiete de’ miei popoli ed alle ragioni del trono. Ignoro i proponimenti dei sovrani congregati, so i miei, che rivelo a te perchè tu gli abbi a comandi regii e precetti paterni. Difenderò nel congresso i fatti del passato luglio, vorrò fermamente per il mio regno la costituzione spagnuola; domanderò la pace. Così richiedono la coscienza e l’onore. La mia età, caro figlio, cerca riposo; ed il mio spirito, stanco di vicende, rifugge dall’idea di guerra esterna e di civili discordie. Si abbiano quiete i nostri sudditi; e noi, dopo trent’anni di tempeste comuni, afferriamo un porto. Sebbene io confidi nella giustizia dei sovrani congregati e nella nostra antica amicizia, pur giova il dirti che in qualunque condizione a Dio piacerà di collocarmi, le mie volontà saran quelle che ho manifestato in questo