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264 LIBRO NONO — 1820.

la costituzione di Spagna; ogni deputato esser tale per essa, aver giurato a lei fede, obbedienza; non poter dunque cambiarla senza offendere il mandato dei popoli, l’autorità delle leggi, la religione dei giuramenti, In quanto alla partenza del re dimostrò l’utilità di aver nel congresso dei monarchi un monarca sostenitore dei diritti suoi e del popolo; chè un re qual egli religiosissimo, nipote per sangue e per virtù ad Enrico IV ed a San Luigi, non potrebbe supporsi mancatore alle promesse, spergiuro a’ sacramenti, così sciagurato da calpestare la dignità della sua corona, così snaturato da esporre l’abbandonata famiglia ai pericoli della guerra, e dell’odio pubblico. Ciò un editto del 1° maggio 1815 col quale il re Borbone, mentre le sorti del re Murat vacillavano, prometteva ai Napoletani libera costituzione; editto veramente ignoto al popolo, ma l’oratore ne portò le parole, lo disse pubblicato in Messina, rivocato e soppresso perchè la celere caduta di Gioacchino non abbisognò di nuove spinte. Altri oratori, dopo il Borrelli, parlarono nei sensi medesimi; e fu deciso rifiutare ogni nuova costituzione, ma permettere al re di partire, purchè di nuovo giurasse quella di Spagna, e promettesse di sostenerla nel congresso.

Si osservò con maraviglia il parlamento scegliere fra i possibili partiti il peggiore. Poteva accettare intiero il messaggio, e per la spontaneo promessa di nuova costituzione accrescere le ragioni del popolo, da difficoltà dei mancamenti; o poteva rigettarlo in intero, e tener presente il re, quasi ostaggio e prigione. Ma se poi riconosceva l’offerto statuto come riforma della costituzione spagnuola, e vietava al re di partire, avrebbe avuto nuove sicurezze, nuove speranze, maggior ritegno alla guerra, speditezza alla pace; e questo era per la natura dei tempi e delle cose il più sapiente consiglio. Come per l’opposto tutti i benefizii si perdevano col decretare nessun’altra costituzione che la spagnuola, e libero il re di partire. Non è già che i deputati volessero il peggio; ma spaventati dalle minacce dei carbonari, ed inesperti alle rivoluzioni, temevano i pericoli più vicini, non vedevano i futuri, giudicavano durabile quel che men dura, il presente.

Non ancor pubblicata la decisione del parlamento, il timido re, da popolari tumulti atterrito, credendo nemici suoi le guardie, i servi, gli stessi presidii delle navi francesi ed inglesi ancorate nel porto, mirando solamente a fuggire, scrisse nuovo messaggio, smentì le sentenze del primo, si giurò sostenitore della costituzione di Spagna, e superando le universali speranze, dichiarò che nel congresso s’ei non bastasse a serbar le ragioni del suo popolo e della sua corona, ritornerebbe in Napoli assai per tempo da difenderle coll’esercito. Raccomandava al vicario, ai ministri, al parlamento, al popolo di apprestarsi alla guerra, nè cedere alle lusinghe