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LIBRO NONO — 1820. 263

o più spesso per propria utilità ed ambizione. Fra tanti confusi moti dei reggitori, de’ carbonari, del popolo, e ’l trepidar degli onesti, e lo sperar dei malvagi, era grandissimo il concitamento della città: errore o colpa dei governanti che in uno stato sconvolto avvisarono trattar di regno colla lentezza e timidità dei consigli.

XXV. Nel seguente mattino stavano i deputati al parlamento, i settarii alle tribune, il popolo affollato nella sala e nei vestiboli, quando i ministri giunsero, lessero i fogli del congresso ed il messaggio del re, li deposero nelle mani del presidente, e, pregando sollecito esame, partirono. In loro presenza il popolo fu taciturno, ma partiti appena, si alzò strepitoso grido: La costituzione di Spagna o la morte. Per quel romore prolungato a riprese, e per dare spazio e quiete alle menti, si differì l’esame al dimani.

Così nelle sale: ma in tumulto maggiore si agitava la città; perocchè visti gli apparati ostili della reggia, le guardie decuplate, le artiglierie del castello volte al popolo, una moltitudine correva al parlamento per invocar soccorso e vendetta, quando l’altra ne usciva accesa di alto sdegno; e però scontrandosi le infuriate torme, infiammavano. Il messaggio del re, affisso ai canti della città, fu lacerato; il popolo in armi, la guerra civile imminente, ma trattenuta dalla vicina decisione del parlamento. Annottò, e temendosi che si affiggessero altri messaggi o editti, spiavano con fiaccole le mura; mentre la plebe a stormi correva le strade, gridando: Costituzione di Spagna o morte. Tutti i dirilti della notte, la quiete, il silenzio, le tenebre, furon turbati. La carboneria, intendendo ad offici maggiori, spedì alle province nuovi messi, altre lettere, per concitare i rivoluzionarii del 6 luglio, e mandò ambasciatori ai deputati del parlamento. significando esser voto di lei serbare intatta la costituzione di Spagna e concedere al re di partire.

Col giorno apparve scena più spaventevole. Si vide popolata la città di provinciali armati, venuti nella notte da paesi vicini, ed altri con mirabile celerità dal più lontano delle province di Avellino e Salerno. Durava eguale il moto, minore il grido, era nel pubblico più affannosa la espettazione e il timore; alcuni deputati, come fosse l’estremo di vita, fecero gli atti di religione, altri il testamento, ma nessuno si arretrò dal pericolo. I deputati passavano per mezzo il popolo dal vestibolo alla sala: a ciascun deputato gli ambasciatori della carboneria ripetevano la intimazione del giorno innanzi, mostravano il pugnale, minacciavano di morte i trasgressori. Cominciò l’esame del messaggio.

Aveva due gravi obbietti: il cambiamento della costituzione, la partenza del re. Primo a parlare fu il deputato Borrelli, che usato alle varianze del foro, parlator d’arte. pose in argomenti e ragioni le dissenate voglie dei settarii. Disse il parlamento costituito per