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260 LIBRO NONO — 1820.

fizii di guerra. Questa che ad immagine chiamerò Crociata Politica dava inquietudine ai monarchi, e più ancora per la natura della napoletana rivoluzione, che non prodotta da povertà o disperazione, non compagna di diletti, non cagione di danni, lasciando illese le proprietà, la civiltà, le religioni, era solamente un bene scevro di mali, una libertà nuova, bella, facile, innocente. La macchia militare dei centoventisette fuggitivi di Nola era stata dalla fortuna e dal grido pubblico volta in gloria, così che altri eserciti se ne invaghivano, altri governi vacillavano, le costituzioni di Europa in breve tempo muterebbero. E però se grave pericolo era il tollerare quello avvenimento, se grave il reprimerlo, si voleva, senza guerra, salvare l’impero o ’l prestigio delle monarchie, rendere la costituzione di Napoli più conforme alle usate in Europa, evitar lo scandalo e la imitazione. La Francia, alla quale più premeva la continuazione della pace, si mostrò inclinevole ad interporsi per gli accordi. qualora il governo napoletano colle riforme dello statuto sedasse le ragionevoli agitazioni dei potentati stranieri. Ed era opportono l’officio, perciocchè dei re congregati stando pronti gli eserciti, ma, sospese le volontà, rattenuti, non so se dalla supposta immensità dei pericoli o dalla ingiustizia di opprimere popolo quieto ed innocente, in quel librare dell’animo, molto valeva ogni argomento per la pace e per la guerra.

Sc ne aveva anche facile il modo, avvegnacchè di riforme consultava il parlamento. Ma in quel tempo medesimo la setta imperversava, ed il generale Guglielmo Pepe, fidando ai gridi di rassegna ed ai vanti dei settarii, era preso di tanta boria che desiderava la guerra, credea la pace sventura e vergogna. Lo spirito del parlamento era palese: di tre fazioni che lo componevano, una di troppo liberi, forte di numero, fortissima per ajuto delle popolari tribune, ma ignava, ineloquente; altra d’incuriosi dello stato, provvidi dello avvenire, taciturna inchinevole al bene, timidissima, nulla per proprio ingegno, potente negli secrutinii, perchè al computo dei voti più numerosa; la terza dei moderati, dove stavano la eccellenza del dire, l’altezza della mente, e dei pochi che la componevano erano primi per eloquenza Poerio, Borrelli, Galdi, e per dotto scrivere Dragonetti, Nicolai. Nelle contese vinceva il terrore, perciocchè la carboneria dominava in secreto, tanto che alcun deputato non ardiva contrastare le passioni, benchè sfrenate, di lei. E però i discorsi della tribuna nelle materie astratte erano alti, liberi, maravigliosi, nelle subbiette bassi e servili al popolo.

Da tali cose derivò che la mediazion della Francia fu rigettata; che le riforme allo statuto invece di stringerlo alla monarchia lo slontanavano; che altri errori più gravi, dei quali opportunamente parlerò, resero impossibili gli accordi, certa la guerra. Le più