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248 LIBRO NONO — 1820.

sotto re sdegnato, e reggitori dalle due parti superbi: cogli affetti eccessivi e varii delle domestiche brighe. Non sia però maraviglia se in quell’adunanza erano incerte le opinioni, rotti i discorsi, dubbiose le sentenze. Uno dei pochi convocati così parlò:

«La costituzione di Spagna in due stati non si apprende ad unico re, perchè nei casi più gravi di governo, come la guerra, la pace, le alleanze, il matrimonio del re, lo smembramento dello stato, abbisognando alla regia volontà assenso del parlamento: se dei due parlamenti l’uno assentisse, dissentisse l’altro, qual ne sarebbe l’effetto? a chi si appiglierebbe la decisione del re? qual sarebbe lopera di governo? E dire non abbisogno, però che il presente lo dimostra, che la sconcordia dei due parlamenti sarebbe facile e continua fra genti, per genio antico e nuovo, nemiche.

E nemmeno è possibile la confederazione di due (e non più) stati liberi, mancando il modo di costringersi alle pattovite condizioni; così che la confederazione di due soli stati è sustanzialmente alleanza, la quale per varietà d’interessi, di tempi, di passioni, si stringe o scioglie.

Perciò gli ambasciatori dimandano cose impossibili, ed io penso che concedendole, sarebbero le duce Sicilie o presto in guerra, o divise affatto di governo. Che non giovi la guerra, le presenti ansietà lo dimostrano; e che nuoccia lo star divise, lo mostra più chiaramente la natura. Ella così ha situato le due Sicilie che nelle invasioni nemiche il regno di Napoli sia antimuro a quell’isola, e l’isola cittadella del regno. Riandate, per non dire le vecchie cose, la istoria dei nostri tempi: la napoleonica potenza, che tanti eserciti disfece, che tanti regni conquistò, fu trattenuta sul lido del Faro, non dai presidii dell’isola, nè dalle armate nemiche, ma da poco mare. Sono le fantasie dei tempi, o, a dirla più schiettamente, le ingiustizie nostre, che fan desiderare ai Siciliani separarsi da Napoli.

Abbia la Sicilia tutti i frutti della libertà; serbi a sè la sua finanza, diriga le amministrazioni, compisca i giudizii: abbia comuni con noi leggi ed esercito, abbia eguale dignità e decoro di governo, tal che altiera signoria o livida dipendenza non più rompa i legami naturali dei due popoli. Provveda a’ suoi bisogni più veri, che sono l’abolizione piena della feudalità, lo scioglimento degli opulentissimi monasteri, la misura ed eguaglianza dei tributi, il ritorno delle proprietà, col nome di soggiogazioni, distratte.

Io quindi avviso dover rigettarsi, come impossibili o nocevoli, le proposizioni dei Siciliani ambasciatori; e trattare accordi alle condizioni vere, giuste, persuadenti, di sopra esposte. Per lo