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244 LIBRO NONO — 1820.

furono respinte; perderono uomini e credito, crebbe della plebaglia l’audacia e lo sdegno. Naselli, sentita la sua debolezza, nominò al governo della città una giunta di nobili, che in breve fu dispregiata, perchè le derivazioni di cadente autorità sono inferme come la origine, solamente valevoli ad accelerare i precipizii comuni.

Soperchiare ogni legittimo potere, sconoscere i magistrati, calpestare le leggi, opprimere, imprigionare le milizie, schiudere le carceri e le galere, abbassare le bandiere del re, rovesciar le sue statue e mutilarle, bruciar le effigie, saccheggiar la reggia, devastar le delizie, in tutte le guise offendere la sovranità, oltraggiare il sovrano, furono la ribellione di un giorno. E poco appresso molte case spogliate, altre incendiate, parecchi cittadini per furore o sospetto miseramente uccisi, e due principi, Cattolica e Iaci, a’ quali per maggior ludibrio fu troncato il capo e portato in mostra per la città. Viste quelle furie, la fazione dei nobili si atterrì; il general Naselli, quasi nudo e invilito, fuggì sopra piccola barca. Il popolo creò una giunta sovrana, facendone capo il cardinal Gravina, e membri parecchi nobili ed alcuni della più bassa plebe, il qual magistrato governava fra comizii armati, meno da reggitore che da soggetto.

Fuggitivi sopra varie navi arrivarono in Napoli nel giorno istesso Naselli, de Thomasis, Church ed altri parecchi, che per onestare la viltà della fuga, o per narrare casi di pietà e di spavento, aggiungevano favole alle verità per sè grandi della rivoluzione di Palermo. Il popolo tumultuariamente ragunato a crocchi, a moltitudini, correndo le strade maggiori della città, l’un l’altro chiedevasi: Che fa il governo? che aspetta? I Napoletani sono trucidati in Sicilia, i Siciliani comandano in Napoli. Al qual grido si univano i lamenti ed il pianto dei parenti di quei moltissimi che si dicevano uccisi. Le sentenze variavano; i più caldi della plebe proponevano chiudere in carcere i Siciliani per ostaggio, proponevano i più iniqui di trucidarli per rappresaglia. Ma potè la giustizia; così che vincendo il parere di eccitare il governo a partiti solleciti e severi, si spedirono ambasciatori al vicario, gli ammutinamenti si sciolsero: dei Siciliani ch’erano in Napoli ai primi gradi dell’esercito e della corte, fu rispettata la persona, obbedita l’autorità.

Ondeggiava il governo fra pensieri diversi, perocchè vedeva pericoloso il rigore, nocevole la pietà, l’esercito non ancora composto, e le discordie nostre non meno pericolose. Per allora si spedirono in Sicilia due editti del re, del vicario, che impegnavano i buoni alla pace, minacciavano i ribelli, o promettevano di perdonarli qualora senza indugio tornassero all’obbedienza. I Napoletani, dicendo due fogli essere debole rimedio e nessuna ven-