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LIBRO NONO — 1820. 243

fami, per ingiustizie, tributi, fastidii di novità, stavasi disordinato e scontento.

E talora nel 1820 quando a governarlo andò il general Naselli siciliano, educato alle servitù della reggia, ingrandito per sovrano favore, inabile, indotto. Gli si diede compagno il cavalier de Thomasis, di molta fama e d’ingegno, perchè alla nota incapacità del primo supplisse la virtù del secondo: usato stile dei governi assoluti per dare delle cariche pubbliche il lustro ed il benefizio ai favoriti, il peso e ’l pericolo ai meritevoli. Quella coppia era in Sicilia da pochi giorni, quando avvennero le rivoluzioni di Napoli.

Qui stavano per servizio di corte o a diporto parecchi nobili Palermitani, ai quali più giovando la costituzione anglicana del 1812 che la popolare delle Cortes ne palesarono il desiderio al vicario ed al re: e questi, per timore arrendevoli a tutte le speranze dei sudditi, dierono risposte ambigue o disadatte; poi divolgate dai richiedenti (fosse scaltrezza od errore) come mascherato assenso alla dimanda. Alcuni di quei nobili, dopo ciò partiti, giunsero a Palermo, quando la nuova della rivoluzione di Napoli concitava il popolo, numeroso ed ebbro più dell’usato, perchè ricorrevano le feste di Santa Rosalia. Il general Church capo militare dell’isola, volendo reprimere quei moti, fu dalla plebaglia oltraggiato, minacciato, inseguito, e ’l general Coglitore ai suoi fianchi ferito; e salvi entrambo fuggendo. Il general Naselli già da due giorni trepidava in segreto, perocchè prima del pubblico aveva saputo gli avvenimenti di Napoli, e nascosti per fino al suo compagno de Thomasis, sperando incautamente nella fortuna, e persuadendosi di non so qual fato irresistibile, condizioni solite nelle difficili congiunture ad uomini pigri ed ignoranti.

XIV. Era vasto il movimento, ma senza scopo. I nobili venuti di Napoli, adunandosi con altri e concordando nella costituzione dell’anno 12, ne lanciarono fra i tumulti la voce che restò schernita, perocchè i settarii e liberali della Sicilia presentivano le dolcezze della costituzione spagnuola. Caduta la prima speranza, propagarono l’altra voce d’Indipendenza, e fu accolta perchè grata a tutti gli uomini, più agl’isolani, gratissima agli abitanti della Sicilia, cui francarsi da noi era desiderio antico e giusto. Dio, re, costituzione di Spagna ed indipendenza fu quindi il motto della rivoluzione di Palermo, così che ai tre nastri della setta aggiunsero il quarto di color giallo, patrio colore. Il luogotenente Naselli costretto ad operare, trasportato dagli avvenimenti, fece, disfece; ondeggiava fra pensieri opposti, sempre al peggio appigliavasi. Diede, richiesto, al popolo il solo forte della città, Castellamare; ma indi a poco, mutato pensiero, e non bastando a riaverlo le dimande o l’autorità, comandò di espugnarlo. Tre volte le milizie lo assaltarono, tre volte