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236 LIBRO NONO — 1820.

seguivano le bande musicali, poscia il general Pepe che sconciamente imitava le fogge e il gesto del re Gioacchino; stavano a’ suoi fianchi il general Napoletani e de Concili: succedevano le schiere ordinate, tra le quali alcuni battaglioni che il giorno innanzi per vaghezza o comando rifuggirono al campo; l’ultima schiera dello prima mostra era il superbo reggimento dei dragoni. Profondo sentimento di alcun fallo pungeva la coscienza di queste genti, e la quasi universale riprovazione temperava gli applausi; si vedeva in quella pompa il giuramento mancato, calpestata la disciplina, trasfigurata la natura delle milizie, e di tante colpe non il castigo, ma il trionfo.

Alle schiere soldate succedevano le milizie civili: cittadini quei militi, e di cittadina causa sostenitori, sentivano allegrezza onesta e nei circostanti la spargevano, gridavano evviva alla costituzione ed al re; il pubblico rispondeva evviva ai militari; e quei saluti di onore, confusi insieme, si mutavano in suono festante, alto, universale, che non finì, se non quando nuovo spettacolo si offerse, l’abate Menichini e i suoi settarii. Egli vestito da prete, armato da guerriero, profusamente guernito dei fregi della setta, precedeva a cavallo sette migliaja di carbonari, plebei e nobili, chierici e frati, diffamati ed onesti, senza ordinanze, senza segno d’impero e di obbedienza, mescolati, confusi. La qual truppa, non curante degli applausi altrui, da sè applandivasi col grido: Viva i carbonari, tal che a vederla era brigata non militare o guerriera, nè veramente civile, bensì ebbra e festosa., Appena scoperta dai balconi della reggia, il vicario comandò che ognuno attaccasse al petto il segno di carboneria, ed egli e i principi della casa se ne ornarono i primi; fu seguito l’esempio, e se qualcuno non era sollecito a provvedere i tre nastri (rosso, nero, turchino) gli aveva nella reggia vaghissimi, figurati a stella, dalla mano della duchessa di Calabria. Tanto potea timore, o arte di regno, o già inganno.

Finita la rassegna ed avviate le schiere agli apprestati alloggiamenti, andarono alla reggia Pepe, Napoletani, de Concili, Morelli, Menichini, e subito, corteggiati, passarono alla gran sala delle cerimonie, dove il vicario gli attendeva. S’inchinarono sommessamente a lui che cortesemente gli accolse, e Pepe disse: «Quando giunsi al campo costituzionale, la rivoluzione era fatta, e però fu mio pensiero dirigerla per il bene dello stato e del trono. Gli «uomini armati, che ho mostrato a V. A. R., ed altri a mille, trattenuti nelle province o rinviati, non sono ribelli ma sudditi, e perciò quelle armi non si rivolgono a rovina del trono, ma in sostegno. Fu necessità per me durissima prendere a patto il comando supremo dell’esercito, perocchè, meno anziano e tanto meno meritevole dei miei colleghi, ripugno all’autorità quanto