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232 LIBRO NONO — 1820.


È pericoloso questo momento alla monarchia quanto al monarca: i costituzionali negano il tempo a comporre un nuovo statuto, e ne dimandano uno straniero, quello delle Cortes. Se il re oggi ricusa, vorrà dimani; e frattanto la continua ritrosia, da tumulti crescenti superata, più abbasserà l’autorità del re e delle leggi, più innalzerà i suoi nemici e la plebe: in quelle politiche sproporzioni risiedono, A. R., i gran delitti. Perciò son di avviso che debbasi avanzare le dimande, soddisfare in un punto tutti i desiderii presenti, dare al popolo sotto specie di concessioni quanto egli guadagnerebbe per via di forza.

Ma (disse il vicario rompendo il discorso) la costituzione delle Cortes è convenevole ai Napoletani? — Vano il cercarlo, rispose l’oratore: oggi trattasi del come chetare la rivoluzione, non del motivo di farla; essa è già fatta. Coloro che più altamente richiedono la costituzione di Spagna, non intendono il senso politico di questo atto: è un domanda per essi: ogni altra costituzione, ancorchè più adatta, ancorchè più libera, spiacerebbe.

È dolorosa necessità per un governo piegarsi alla forza dei soggetti; è doloroso per noi esortare alla pazienza, ma poichè siamo sì presso ai precipizii, è officio dei consiglieri la prudenza, come forse sarebbe virtù nel monarca correre le fortune per sostenere le sue ragioni. Perocchè l’ardire col proprio pericolo è valore, coll’altrui è arroganza.»

Mentre l’uno così parlava, uscivano segni e voci di approvazione dal gesto e dal labbro dei circostanti; ma pure il vicario chiese il voto aperto di ognuno, e tutti si unirono al proponente. Un solo suggerì d’introdurre nel decreto un motto di doppio senso, a fin di giovarsene quando, superate le attuali strettezze, rinvigorisse la monarchia; ma il principe opponendosi mostrò sdegno: disse che dagli inganni rifuggiva la religione del re e del vicario. E senza sciogliere il consiglio andò dal padre, tornò, riportò che il re confermava il parere dell’adunanza, e voleva che si riducesse a decreto. Furono sì brevi le dimore del principe che non bastavano a riferire gl’intesi discorsi; e però i consiglieri sospettavano che il re, non visto, fosse presente al consiglio. Il decreto subito scritto e nella notte istessa pubblicato, diceva: «La costituzione del regno delle due Sicilie sarà la stessa adottata per il regno delle Spagne nell’anno 1812, e sanzionata da S. M. Cattolica nel marzo di questo anno: salve le modificazioni che la rappresentanza nazionale, costituzionalmente convocata, crederà di proporci per adattarla alle circostanze particolari dei reali dominii.»

Francesco, vicario.


Ma non bastò, perocchè dicevano che non il vicario ma il re do-