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LIBRO NONO — 1820. 231

il sospetto ed il moto delle rivoluzioni, ritorneremo presto alle presenti dubbiezze e pericoli.

A voi perciò, così amanti della patria quanto fedeli al trono, dimando un modo per attiepidire il pubblico fervore, ed aspettar quetamente, non più del prefisso tempo di otto giorni, la promessa legge. Incitando a parlare ciascun di voi rammento a tutti che nelle difficoltà di regno la sincerità del consigliero è bellissima fede al sovrano, e che, se inopportuno riguardo ritiene il vostro labbro, farete onta a voi stessi, tradimento al re, danno alla patria comune, offesa a Dio.»

Tacque, ciò detto: e tacevano per maraviglia o diffidenza i consiglieri adunati; però che varia era la fama del duca di Calabria, erudito nei penetrali di reggia infedele, amico del Canosa, sospettato nei tradimenti fatti alla Sicilia: ma in sino allora innocente, e (ciò che più il commeendava) tiranneggiato dal padre. Per questi pregi, per quel parlare onesto, per la gravità dei casi, dissipata la tema, uno di quei molti, dopo nuovo incitamento, così disse: «Nel «rispondere a V. A. io non guardo la importanza del subbietto, il pericoloso uffizio di consigliero, la mia stessa incapacità, ma solamente il debito di dire e oprare, nei difficili casi, come vogliono il proprio giudizio e la coscienza. Parlerò aperto, e troppo, stimolato dal comando di V. A. e dalla mia natura.

La costituzione è desiderio antico dei Napoletani, surto nei 30 scorsi anni di civili miserie; salito a speranza per la costituzione concessa dal re Ferdinando alla Sicilia, e l’altra dal re Luigi alla Francia, e l’altra a noi stessi (benchè tardi) dal re Gioacchino, e l’ullima data o presa in Ispagna. Ed oggi che di questa voce han fatto lor voto e pretesto numerosissimi carbonari, ella non è solamente desiderio e speranza, ma bisogno ed ansietà. L’opporsi al torrente degli universali voleri era già da tre anni vana fatica, ma facile prova il dirigerlo; l’ultimo ministero è stato cieco ai pericoli, sordo ai consigli, sperando che il turbine si disperdesse, o scoppiasse più tardi: per vanto di serbare illesa la monarchia, eccola colpita nè suoi maggiori nerbi, cioè nell’impero e nel prestigio. Si poteva il 2 luglio sottomettere Morelli e i suoi pochi, si poteva nei seguenti giorni espugnar Monteforte, si poteva render vano questo altro cimento della setta, e dilungare la rivoluzione, perocchè scansarla era impossibile, ove i modi del governare non mutassero. Si avevano rimedii di forza insino a jeri, oggi non più, la facile promessa di una costituzione, il richiamo delle milizie dai campi, la caduta del vecchio ministero, i romori attorno alla reggia non repressi, han fatto il governo men forte della rivoluzione; e nei conflitti civili la condizione dei deboli è la obbedienza o la rovina.