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LIBRO NONO — 1820. 229

disse: «È un’ora dopo mezza notte, alle tre la costituzione sarà pubblicata.» Rese l’orologio e partirono. Quell’audace era il duca Piccoletti, genero dell’Ascoli.

V. Stavano a consiglio continuamente presso del re il suo figliuolo duca di Calabria, e tre ministri, però che il quarto, general Nugent, trattenevasi al campo di Carascosa per assistere alle conclusioni del mattino vegnente, sia di accordo, sia di guerra. Quei ministri avviliti, quanto già nelle sicurezze superbi, pregavano il re che cedesse alla necessità dei tempi, acconsentisse la voluta legge, sperasse nei futuri eventi; e quanto più il re, confidando nei divini ajuti, o per maggior senno e maggior animo resisteva, altrettanto quei paurosi ripregavano, lo intimorivano. Il marchese Circello, in odio al pubblico, e vecechissimo, ma per grossolane delizie di vita bramoso di più lungo vivere, piangendo gli disse: «Io amo Vostra Maestà come padre ama figlio, ascoltate e seguite il consiglio che viene da labbro fedele, concedete prontamente una costituzione, superate i pericoli di questo istante; che Iddio ajuterà principe religiosissimo ed innocente a ricuperare da popolo reo i diritti della corona.» Il re si arrese, e fu questo l’editto:

«Alla nazione del regno delle due Sicilie. Essendosi manifestato il voto generale della nazione del regno delle due Sicilie di volere un governo costituzionale, di piena nostra volontà consentiamo, e promettiamo nel corso di otto giorni di pubblicarne le basi. Sino alla pubblicazione della costituzione le leggi veglianti saranno in vigore.

Soddisfatto in questo modo al voto pubblico, ordiniamo che le truppe ritornino ai loro corpi, ed ogni altro alle sue ordinarie occupazioni.

Napoli, 6 luglio 1820.»

FERDINANDO.


VI. Per solleciti messi l’editto fu spedito ai campi di Nocera, Mugnano e Monteforte, ed al primo albore del dì 6 giunse a Carascosa e Nugent, mentre, disperando la pace, ordinavano le schiere agli assalti. I campi dell’una parte si sciolsero, e le milizie tornarono alla città festosamente, gridando Dio, Re, Costituzione; il campo di Monteforte stette saldo: ebbe pieno successo in quattro giorni la rivoluzione di un regno, la quale sotto saggio governo non nasceva, e sotto governo animoso, tosto nata, spegnevasi.

Per decreto di quel giorno il re designò nuovi ministri; e con lettere al figlio e pubblicate, dolendosi di salute inferma, debole alle nuove cure di regno, depose in sue mani la regia autorità. L’editto, il decreto, le lettere concitarono moti maggiori nel popolo,