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LIBRO OTTAVO — 1820. 221

dispotismo o le blandizie di libertà. Se proponeva di richiamare i Tedeschi, si offendeva il credito del ministro Medici, che poco innanzi aveva indotto il re a rinviarli dal regno: se dicevasi di concedere la bramata legge, si offendeva l’Austria, e si mancava alla promessa confermata nel congresso di Vienna, di resistere all’impeto delle idee nuove. Fra’ quali dubbietà, que’ ministri incallivano al romore dei tumulti, tornavano all’antica scioperatezza; ma nuovi moti, nuovi gridi, e maggiori pericoli palesati al tempo stesso in Calabria, Capitanata e Salerno, vincendo gli ozii e i ritegni, stabilirono (mezzano e molle partito) dar legge che divertisse i pericoli con lieve offesa della monarchia, e velando il mancamento alle promesse date nel congresso. Accrescere a sessanta membri la cancelleria, farne eleggere metà dai consigli di provincia, metà dal re, ordinarli in due camere, dichiarare necessario per ogni atto legislativo il loro voto, fare pubbliche le discussioni, operare cangiamenti sì grandi senza pompa di legge ma per quasi non avvertite ordinanze, erano le basi del novello statuto al quale il ministero, benchè ritrosamente, accedeva.

LIV. Ma un grande avvenimento arrestò ad un tratto le sollecitudini nel governo, i tumulti nelle province: L’esercito si adunò a campo nelle pianare di Sessa, il re vi si recò a permanenza. Romoreggiava da lungo tempo il sospetto che le nostre schiere, ad esempio delle spagnuole, scuoterebbero il freno della obbedienza per dimandare libera costituzione; e perciò a vederle, per comando e quasi a dispregio del pericolo, radunate e andar tra quelle sicuro re canuto per anni, fu creduto un atto di bello ardire e di serena coscienza, sì che i settarii, ammirando e temendo, sospesero le cominciate mosse.

Ma fu motivo al campo esterna politica, non civile. Riferirò le cose pervenute al mio orecchio, dichiarando (come vuole debito di verità) che non ne ho documenti altro che dalle affermazioni di altissimi personaggi. I quali dicevano che nel congresso di Vienna o in altra più recondita adunanza di potenti fu stabilito che alla morte di Pio VII si dessero le legazioni all’Austria, le Marche allo stato di Napoli, e che intanto si nascondesse al pontefice il proponimento per non addolorare (diecvasi) la sua vecchiezza; ma invero per più certo successo, cogliendo la santa sede mentre era vota. Perciò alla occasione della grave malattia del papa nel 1819, l’Ausiria inviò altre schiere a Ferrara, e Napoli annunziò di formare un campo negli Abruzzi, acciò l’occupazione dei nuovi dominii seguisse dopo appena la morte di Pio, innanzi la scelta del successore. Ma i cieli vollero che il pontefice guarisse, e che fosse delle occulte pratiche avvertito. Ed allora monsignor Pacca, governatore di Roma, prodigo, dissoluto, complice ambizioso dello spo-