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LIBRO OTTAVO — 1819. 215

all’universale, l’aura è condanna; cosicchè distrutto il tesoro delle opinioni, non altro premio dar possono che di materiale godimento, le ricchezze, e ne deriva che i loro seguaci sono pochi, schivi di onore, empii nelle fortune, vili ai pericoli.

De’ magistrati mantenuti fu pur trista la sorte. Legge di Giuseppe li dichiarava stabili; ma decreto di Gioacchino del 1812, sospendendo per tre anni la stabilità, prolungava il cimento sino all’anno 15, allorchè per le vicende politiche di quell’anno e per nuovo deereto del nuovo re fu allungata la incertezza sino alla pubblicazione de’ codici borboniani; e que’ codici promulgati, e scelti a modo i giudici, non cessava l’esperimento per altri tre anni. Si voleva tenerli sempre a dipendenza, per lo che gli onesti si sdegnavano, tutti temevano. Nè basta; era spiato ogni giudice, il voto di ognuno in ogni causa rivelato al governo, e spesso ad arbitrio del ministro erano i giudici puniti con rimproveri, minacce, congedi, lontane traslocazioni. Mancavano alla magistratura le due più pregiate condizioni, stabilità, indipendenza; e di là uomini di loro natura cultori di arti oneste e amanti di quiete, bramavano ancor essi moti e novità di stato.

XLVIII. Cosa di maggior mole fu il riordinamento della polizia, la quale, uscendo dalle furiose mani del principe di Canosa, passò, come ho riferito, a Francesco Patrizio, che di vario capriccioso ingegno, quando rilassava le discipline, quando aspramente le stringeva, e lo sfrenato destriero (insegna e simbolo de’ nostri popoli) o trascorreva superbo dell’inabile governo, o infuriava della sferza importuna. Perciò rinvigorirono le antiche sette di libertà, nuove se ne aggiunsero, e qui appariva un libello invitatore, là un messaggio ardimentoso al monarca, altrove una costituzione messa in istampa, e da per tutto svelata contumacia verso il governo, ed offese e delitti contro i suoi partigiani.

De’ quali disordini più abbondava la provincia di Lecce, così che vi andò commissario del re co’ poteri dell’alter-ego il general Chruch, noto inglese, passato agli stipendii napoletani per opere non lodevoli, quindi obliate per miglior fama. Il rigore di lui fu grande è giusto: centosessantatrè di varie sette morirono per pena, e quindi spavento a’ settarii, ardimento agli onesti, animo nei magistrati, resero a quella provincia la quiete pubblica. Ma senza pro per il regno, perciocchè i germi di libertà rigogliavano, animati dalla carboneria. Della quale setta è tempo che io discorra l’origine, l’ingrandimento, la vastità, i vizii, la corruzione.

XLIX. Alcuni Napoletani esuli nel 1799, iniziati in Isvizzera ed Alemagna dove la setta portava altro nome, tornando in patria la introdussero, ma restò debole ed inosservata. Nell’anno 1811 certi settarii, francesi, ed alemanni, qua venuti, chiesero alla polizia di