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LIBRO OTTAVO — 1818. 207

vida legge prescritti; cosicchè regge ancora il costume osceno, insalutare e più che barbaro (i barbari meglio che noi dando sepoltura a cadaveri) d’interrare nelle fosse delle chiese, in mezzo alle città. E può tanto invecchiato errore, che non si tiene in pregio alzar tomba in sito ameno a corpi morti delle care persone, ma si vuole nella stessa comune lurida fossa confondere le spoglie di vergini figliuole o di pudiche consorti a quelle di ladroni, ribaldi e dissoluti. Vero è che i preti soffiano in quella ignoranza per non perdere il guadagno de’ mortorii, nè diminuire il raccolto del purgatorio, sempre più largo se in presenza della fossa che chiude ceneri adorate o venerande.

XXXVIII. Poichè ho riferito i trattati di cinque anni, dirò nel tempo stesso con egual brevità i matrimonii e le morti degne d’istoria.

A’ 15 aprile 1816, furono celebrate le nozze tra ’l duca di Berry nipote al re di Francia, e la principessa Carolina Ferdinanda figlia primogenita del duca di Calabria; la quale era nella tenera età che scorre appena tre lustri gradevole di persona, di colto ingegno, di animo donnesco e superbo.

A’ 16 luglio dell’anno istesso il principe di Salerno strinse matrimonio coll’arciduchessa Maria Clementina figlia dell’imperatore d’Austria.

Ed a’ 3 agosto 1818, furono sposi l’infante don Francesco di Paola fratello al re di Spagna, e la principessa Luisa Carlotta secondogenita del duca di Calabria, giovinetta pur ella di leggiadre forme. La dote, presa e data in que’ tre matrimonii, fu la consueta delle due reali famiglie di Napoli e di Vienna.

Morì nel maggio 1815 il duca di Civitella, onesto, ma in vita oscuro; la morte diede esempio meritevole di ricordanza: amico a Gioacchino ed uno della sua corte, addolorato per la caduta della casa Murat, il giorno che l’esercito tedesco entrò in città, egli senza timori, senza rimorsi, ma non tollerando l’abborrita vista, si gettò dall’alto e perì, benchè lasciasse bella e giovine moglie, teneri e molti figli. Il suicidio per precipizii è il più usalo da’ Napoletani, e se taluno è preso del melanconico proponimento, i famigliari non celano ferri o veleni, ma chiudono le uscite a’ dirupi.

Nell’anno istesso Giovanni Meli medico e poeta egregio morì a Palermo sua patria della età di anni settantasei, i suoi versi scritti in dialetto siciliano sono celebrati anche più del merito in Sicilia, meno in Italia. La città fece scolpire il suo busto in marmo, e disegna di alzare a sua gloria un monumento.

Più grave di età morì nel 1816 Giovanni Paisiello. La musica per lui, cangiato stile, da misurata e ristretta divenne spontanea ed abbondante. Ebbe compagno in virtù ne’ suoi primi anni il