Pagina:Storia del reame di Napoli dal 1734 sino al 1825 II.pdf/185


LIBRO OTTAVO — 1815. 181

vagando tra boschi e vigneti; trovò a caso altro asilo, scampò altre insidie, ed alfine sopra piccola navicella fuggì di Francia verso Corsica, isola ospitale, patria di molti che un dì furono suoi seguaci nella guerra e compagni di gloria. Dopo due giorni di navigare sorse improvvisa tempesta, sì che, raccolta la piccola e sola vela latina, corse il legno per trent’ore a fortuna di mare. Calmato il temporale (e fu ventura perchè il piccolo naviglio in più parti sdrucito non poteva reggere alle procelle), scoprirono altra nave più grande che veleggiava verso Francia; e raggiuntala, uno de’ tre seguaci di Gioacchino dimandò con preghi al piloto di accoglierli, e per larga mercede menarli in Corsica. E quegli, o che avesse cuore inumano, o che temesse d’insidia o di contagio, rigettò con disdegno la richiesta. Ma volle fortuna che gl’infelici fossero raggiunti dalla corriera che fa continuo passaggio tra Marsiglia e Bastia; Gioacchino, a viso alzato, palesò il suo nome a’ nocchieri, e soggiunse: «Io Francese parlo a’ Francesi, e vicino al naufragio dimando ajuto a chi naviga fuor di periglio.» Fu accolto ed onorato da re.

XII. Nel dì seguente sbarcò a Bastia. La Corsica in quel tempo era sconvolta da discordie civili, parteggiando i borbonici, i bonapartisti, gl’indipendenti; delle quali parti la prima era poca e debole; e le altre due, più forti, fidavano per novità di stato in Gioacchino. Perciò le autorità dell’isola insospettivano; ed egli per sicurtà e prudenza passò a Vescovado, indi ad Ajaccio, sempre perseguito da’ reggitori dell’isola e sempre difeso dagli isolani sollevati in armi. Le quali popolari accoglienze lo rendevano allo stato di re, mostrandogli falsa immagine di fortuna, sì che spesso diceva: «Se popoli nuovi per me combattono, che non faranno i Napoletani! Io ne accetto l’augurio.» Allora fece disegno, non rivelato che a’ suoi più fidi, di approdare in Salerno, dove tre mila del già suo esercito stavano oziosi e scontenti del governo borbonico; passar con essi ad Avellino, ingrossare, procedendo, di soldati e partigiani; precorrere di tre giorni sul cammino di Basilicata le schiere tedesche, le quali forse movevano da Napoli per combatterlo; riempiere della sua fama tutto il regno; e non volgere alla capitale primachè il grido de’ successi non avesse disordinato il governo, e spinto il timido Borbone alla fuga. Non prevedeva sventure, non curava pericoli, vietandolo naturale baldanza e lungo uso di fortuna e di guerra. Fra’ quali pensieri raccolse una squadra di duecentocinquanta Corsi, fidi a lui, pronti a cimenti, e noleggio sei barche.

Prefisse il giorno al partire; ma, poco innanzi di muovere, lettere del Maceroni da Calvi annunziavano ch’egli portatore di buona nuova era in cammino per Ajaccio. Gioacchino lo attese e quegli,