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LIBRO OTTAVO — 1815. 179

re n’ebbe sdegno, punì alla cieca il presidente del tribunal militare, e i comandanti della provincia e della divisione, ancorchè suoi devoti.

In Reggio, città della Calabria, fu condannato a morte un tal Ronca, malvagissimo, come il dimostra un solo che narrerò de’ mille suoi misfatti commessi per molti anni da sbandito e brigante. Aveva moglie che lo seguiva ne’ cimenti del brigantaggio; ella incinse e si sgravò di un bambino, i cui vagiti apportando al padre tedio e periglio, egli crudele l’uccise battendo l’innocente capo ad un arbore. Alla quale vista la madre pianse di pietà e di orrore, ed egli, delle lagrime prendendo sdegno e sospetto, scaricò le armi contro la misera donna e la distese morta sopra il cadavere del bambino; nè abbandona già quel luogo atto alla difesa ed alle rapine, sì che l’infame per molti di mangia e dorme innanzi a’ corpi guasti e insepolti del figlio a della moglie. Uomo così perverso ebbe dal re grazia di vita, in mercede di altri delitti commessi per le parti de’ Borboni.

Così di giorno in giorno scemavano le speranze concepite del nuovo governo, e si ammolliva l’odio per l’antico, allorchè sopravvenne la morte di Murat, del qual caso descriverò ogni parte.

XI. Dopo la battaglia di Vaterloo e la caduta dell’impero francese molte voci si divolgavano sulle sorti del re Gioacchino; chi lo diceva in Tunisi, chi in America, o che nascosto si tenesse in Francia, o che travagliato fuggisse a ventura; quando s’intese che da re era giunto in Corsica, ed indi a poco da nemico in Calabria. Qui lo attendea la fortuna per dare al mondo novelli esempii di sua possanza, abbattendo le sublimità ch’ella dalla polvere aveva erette, e confondendo gli estremi di felicità e di miseria.

Ho detto le sventure di lui nella guerra d’Italia, e la fuga dal regno, e come in Ischia, restato un giorno, prese asilo sopra piccolo legno che navigava per Francia. Traversando il golfo di Gaeta, vedendo su le torri sventolare la sua bandiera, pensando che i suoi figli stavano tra quelle mura, e oltre ciò l’impeto naturale ed il lungo uso di guerra lo spingevano ad entrare nella fortezza, ed ivi combattere, non a speme di regno, per disperato consiglio; ma parecchie navi chiudendo le entrate al porto, egli addolorato, proseguì a navigare verso occidente.

Giunse a Frejus il 28 maggio ed approdò al lido istesso che il prigioniero dell’Elba due mesi avanti e con fato migliore avea toccato. Sulla terra di Francia mille pensieri e memorie lo agitavano, le primizie del suo valore, le fatiche, le fortune, il diadema, il nome; e dall’opposta parte gli ultimi fatti della guerra di Russia, l’ira di Bonaparte, le pratiche coll’Austria e con la Inghilterra, l’alleanza e la guerra contro la Francia, l’abbandono e la ingratitu-