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LIBRO SETTIMO — 1815. 165

città, i prigioni di Napoli tumultuosi, e le porte delle carceri non ancora abbattute ma scosse; la guardia di sicurezza già stanca; gl’Inglesi pochi, i disordini maggiori, e, ciò che accresceva pericolo, vicina la notte. Si era sul punto che la plebaglia prevalesse, quando esortati da messi e lettere della municipalità, giunsero al dechinare del giorno alcuni squadroni austriaci, che uniti alle guardie urbane, girando per la città, e gasligando quegli che avessero di ribelli armi o segni, soppressero i tumulti e le inique speranze. Fu così grande ma necessario il rigore che cento, almeno, di quell’infimo volgo perirono; ed altri mille, feriti, andarono agli ospedali o si nascosero.

In quella notte e nel seguente giorno furono in città luminarie, tripudii, e grida di popolo; e nel porto tutte le navi, lo stesso vascello che albergava la regina, ornalo a festa. A’ 23, com’era prescritto, fecero ingresso le schiere tedesche, le quali con suoni e segni di vittoria seguivano il principe reale don Leopoldo Borbone, che a cavallo, con ricca, numerosa corte, allegro rendeva i popolari saluti. E poichè per corrieri, per telegrafi, per fama, gli avvenimenti di Casalanza e di Napoli furono in quei giorni medesimi divolgati, ed il mutato governo in ogni luogo riconosciuto e festeggiato, tutte le apparenze scomparvero del regno di Gioacchino, nomi, immagini, insegne; solamente la regina prigioniera sul vascello stava ancora nel porto, spettacolo e spettatrice delle sue miserie.