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164 LIBRO SETTIMO — 1815.

gradi, onori e pensioni i militari che, giurata fedeltà a Ferdinando IV, passassero volontarii a suoi stipendii.

Qui finiva il trattato, ma il Tedesco vi aggiunse che il re Ferdinando concedeva perdono ad ogni opera politica de’ passati tempi, comunque fatta a pro de’ nemici , o contro i Borboni; e che, obliate le trascorse vicende, ogni Napoletano aspirar potesse agli offizii civili o militari del regno. Le quali cose i negoziatori napoletani non ricercavano per non trasformare in concessione e favore i titoli della giustizia, e dare sospetto ch’ei credessero colpa ne’ soggetti l’aver servito a governo necessario, riconosciuto, e per diritto pubblico di quei tempi legittimo.

«L’imperatore d’Austria (stava scritto) avvalorava il trattato con la sua formale garanzia.» Il qual nuovo pegno di fede si bramava da’ Napoletani, essendo ancor viva e dolorosa la memoria de’ mancati giuramenti del 99.

C. Nella sera dello stesso giorno, dopo che il re ebbe contezza del trattato, partì sconosciuto verso Pozzuoli; e di là, sopra piccola nave passò ad Ischia, ove rimase un giorno venerato da re; ed il dì 22 sopra legno più grande con poco seguito di cortigiani e di servi, senza pompa, senza lusso, senza le stesse comodità della vita, sì parti per Francia, Ed intanto fatte note in Napoli, le concordie di Casalanza, la città mandò ambasciatori al principe Borbone, ch’era in Teano, precursore dell’allegrezza ed obbedienza publica; il qual atto, benchè segreto, fu a caso rivelato alla regina Murat, che stava ancora nella reggia, reggente del regno. In Capua, all’uscire della prima legione napoletana per dar comode stanze al Tedesco, la plebe non vedendo soldati che alle porte, si alzò a tumulto, ruppe le prigioni, e prorompeva in peggiori disordini se da pochi generali ed uffiziali non fosse stata repressa. La stessa prima legione, sino a quel punto, disciplinata e ubbidiente, fuori appena della fortezza, sorda agl’inviti ed alle minacce de’ capi, per molte vie si disperse.

In Napoli la plebaglia sotto pretesto di allegrezza tumultuava, e sebbene la guardia di sicurezza trattenesse que’ primi moti, chiaro appariva che in breve non basterebbe. Cosicchè la regina pregando per lettere l’ammiraglio inglese a spedire in città qualche schiera a sostegno degli ordini civili, n’ebbe trecento Inglesi, per li quali sbigottirono i tumultuanti, tornò la quiete. Ed ella in quel mezzo imbarcò sopra vascello inglese con alcuni della sua corte; e tre già ministri, Agar, Zurlo, Macdonald, e pochi altri personaggi, che, non confidando nelle promesse di Casalanza, fuggivanono la temuta vendetta de’ Borboni.

Non più re, non reggente, non reggenza, la plebe accresciuta de’ fuggitivi di Capua, che, sperando prede, arrivavano a torme nella