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LIBRO SETTIMO — 1815. 163

se’ stesso, le speranze cadute, l’impero dechinante, il ritorno dei Borboni certo e vicino. E perciò deponendo le cure di capitano e di re, pensò alla salvezza sua e della famiglia: sapeva il trattato con Campbell, e di scontentissimo che n’era innanzi ne divenne lieto; credeva che i Borboni e i Tedeschi lo volessero prigioniero, gli uni a vendetta, gli altri per impedire gli ultimi temuti sforzi ne’ Principati e nelle Calabrie, o per togliere a Bonaparte, imperatore in Francia, sperimentato e grande istromento di guerra; temeva inganni e tradimenti nella città e nella reggia. Ed a tanti bisogni e sospetti cautamente provvide.

Delegato il comando dell’esercito al general Carascosa, venne in Napoli privatamente e sul cadere del giorno, ma dal popolo scoperto e salutato come re e come ancora felice. Andò alla reggia negli appartamenti della regina, e giunto a lei, l’abbracciò, e con voce ferma disse: «La fortuna ci ha tradito, tutto è perduto.» «Ma non tutto (ella replicò) se conserveremo l’onore e la costanza.» Prepararono insieme segretamente la partenza; furono ammessi a strettissimo circolo di corte i più fidi e i più cari, e dopo breve discorso congedati. Egli provvide co’ ministri a molte cose di regno, ultime, benefiche, ricordevoli; fu sereno, discreto, confortatore della mestizia de’ circostanti, ed a’ Francesi che partivano ad ai servi che lasciava liberale così come principe che ascende al trono.

XCIX, Fissate le sue sorti, volle dar termine conta pace a’ travagli del già suo regno, ed elesse negoziatori i generali Carascosa e Colletta. Disse al primo, trattassero per lo interesse non più di lui, ma dello stato e dell’esercito, e patteggiassero il mantenimento delle vendite, e dei doni, di tutto ciò che lasciavagli fama di buon re ed affettuosa memoria ne’ Napoletani. Al Colletta che richiedevagli quali cose concederebbe al nemico, rispose: tutto fuorchè l’onore dell’esercito e la quiete de’ popoli; della fortuna contraria io voglio sopra di me tutto il peso. A’ 20 di maggio i negoziatori sopraddetti co’ generali Bianchi e Neipperg, e, per le parti dell’Inghilterra, lord Burghersh, convennero in una piccola casa, tre miglia lontano da Capua, del proprietario Lanza, e di là il trattato che poi si conchiuse prese data e nome di Casalanza. Dopo lunghe, agitate e talora vicine a rompersi conferenze, fermarono i seguenti patti:

Pace fra i due eserciti. La fortezza di Capua cedersi nel dì 21, la città di Napoli co’ suoi castelli nel 23, quindi il resto del regno, ma non comprese le tre fortezze di Gaeta, Pescara ed Ancona; i presidii napoletani che uscivano dai luoghi forti avere gli onori convenuti.

E dipoi il debito pubblico garentito, mantenute le vendite de’ beni dello stato, conservata la nuova nobiltà con l’antica, confermati ne’