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162 LIBRO SETTIMO — 1815.

fensiva del Volturno, muoverli, combattere, temporeggiare, e se ai cicli piacesse, ripigliare animo e fortuna. Perciò cautamente ritiravasi, evitando gli scontri, e tenendo le schiere sempre in linea onde giungessero contemporanee per le vie del Garigliano, di San Germano e degli Abruzzi. E difatti a’ dì 16 il reggimento de’ granatieri della guardia accampava in Sessa, la quarta legione in Mignano, la prima a Venafro, le altre squadre spicciolate entravano nella fortezza. Ma in quella notte è assalito il campo di Mignano, dove la quarta legione, mal guardandosi, aveva le ordinanze più di cammino che di battaglia. Di fianco investita da sopra i monti di San Pietro, infine il retroguardo si scompigliò, e disordinatamente ritiravasi. Il generale lo soccorse di un reggimento di cavalleria, che offeso dall’alto, dove i cavalli non giungevano, retrocedè a briglia sciolta, e le schiere accampate in Mignano, al calpestìo crescente e vicino, sbalordite dalla notte, da’ fuggiaschi e dalle passate avversità, travedendo nemici nei compagni, tirarono ciecamente sopra loro. E quegli alle offese rendevano offese non per inganno nè per vendetta, ma perchè, raddoppiato il pericolo, volevano far libera la fuga. Confusione orrenda, irreparabile: la voce de’ capi non intesa, non viste le bandiere, non obbedito il comando. Chi si crede sorpreso e chi tradito, s’intrigano le schiere, ogni ordine si scompone, abbandonano il campo e fuggono. Il reggimento ch’era in retroguardia, incalzato alle spalle dal nemico, sentendo innanzi romor di guerra, camminava sospettoso e guardingo, e però giunto dove già stava il campo, vistolo deserto e con segni di recente guerra e di fuga, si scompose anch’esso e fuggì. Della intera legione (seimila uomini) pochi restarono, e così alla notte del Ronco contrappose la notte di Mignano la fortuna, che ogni parzialità o conforto negava alle armi di Napoli.

Saputa nel mattino del 17 la rotta di Mignano, il general Carascosa che veniva di Abruzzo accelerò il cammino, ma quella rapidità fu cagione di novelle diserzioni. Il re si recò a San Leucio, regia villa presso Caserta, ed ivi attese le rassegne de’ soldati, e i rapporti sullo stato del regno. Intese che cinquemila fanti e duemila cavalieri, gli uni e gli altri sbalorditi e svogliati, erano in Capua; molte artiglierie per abbandono perdute; ogni disciplina sciolta. D’altra parte i Tedeschi, in numero e in fortuna, intorno a Capua; il principe reale don Leopoldo Borbone andar con essi, pubblicando sentenze di giustizia e di modestia; sei province (tre Abruzzi, Molise, Capitanata e Terra di Lavoro) già obbedire a’ Borboni, le altre non contrarie a questi nè dubbiose, ma espettatrici; gl’Inglesi aver doppiate le forze navali nel golfo di Napoli, ed il re di Sicilia starsi a Messina sul punto di passare il Faro con poderose armate di mare e terra. Ne’ popoli, ne’ magistrati, ne’ cortigiani, ne’ ministri, in