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158 LIBRO SETTIMO — 1815.

fuga del generale ingrandì la comune idea del pericolo e la prudenza inseparabile dei magistrati civili; la qual prudenza, chiamata da lui tradimento al governo di Murat, accrebbe i suoi timori; così che all’avvicinare del nemico abbandonò la città, e solamente piccola non debole cittadella fu preparata all’assedio. Il Tedesco maravigliando credeva che il favore del popolo gli spianasse il cammino, spedì al comandante del forte ambasciate di cedere; e quegli a’ nemici non visti, e certamente privi di mezzi di assedio, perocchè le strade che percorrevano sono impossibili alle artiglierie, diede la cittadella provvista d’uomini, d’armi e di viveri, a solo patto di vita e di alcune ridicole pompe, che sotto il nome di militari onori sono vergogne. Montigny, sul cammino di Popoli informato di quei casi, scrisse al re il foglio del 2 maggio, che al cadere del 3 giunse intempestivo a Tolentino. I Tedeschi entrati negli Abruzzi erano intorno a mille.

Tante sapute viltà, tante vergogne, scossero l’animo inacerbito di Gioacchino, e pose in giudizio Montigny, il maggiore Patrizio comandante del forte. Ma fu tardo il rigore, perciocchè i subiti cambiamenti politici impedirono gli effetti: restò il maggiore impunito, e l’altro, avendo bruttata del suo nome la lista de’ forestieri ch’erano a’ nostri stipendii, si partì dal regno con Pheil, Malchevski, Michel, Dreuse, Palma, Lajaille ed altri prodi de’ quali vorrei celebrare le geste se il tolto stile lo comportasse, ed io, cacciato dal lungo tema, non dovessi sovente trasandare alcuni fatti non importanti alla storia, sebben cari al mio cuore. Ma se a’ disegni basterà la vita, registrerò in altre carte, a maggiore chiarezza e documento de’ miei dieci libri, le particolarità della napoletana milizia di Carlo III a Francesco I; e trarrò, Dio concedente, dalla universale meritata vergogna non pochi nomi degni di buona fama e di gloria; i quali frattanto confusi a’ tristi, creduti rei, sbattuti iv vita, oltraggiati nella memoria, patiscono il supplicio di tempi ed eserciti corrotti. Fo rilorno a’ racconti.

XCIV. Il generale Manhes con la quarta legione (cinquemila soldati) difendeva la frontiera del Liri. Avuta notizia sul finire di aprile che il nemico per la valle del Sacco avanzava verso il regno, condusse a’ 2 maggio le sue schiere a Ceperano, e poichè alcuni sbirri del papa, chiuse le porte, tirarono poche archibugiate contro i nostri, la città fu mal trattata, messe a sacco molte case, e tre più grandi e più belle bruciate: asprezze del Manhes. Quelle squadre divise in due brigate occuparono Veroli e Frosinone: ed a’ 6, sapute le sventure di Tolentino, furono sollecitamente ritratte a Ceperano, e dipoi senza respiro (bruciando il ponte) a Roccasecca, Arce, Isola e San Germano; il corso del Liri e parte del Garigliano, linea difensiva del regno, perduta senza aver visto il ne-