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12 LIBRO SESTO — 1806.

l’esercito in tre squadre. Presidiar con l’una le fortezze, la città, i luoghi maggiori del regno; correre con l’altra le province, stringere con la terza gli assedii; mostrar la polizia vigilante, arbitraria, severa, potentissima; far buone leggi, promettere futura prosperità, giovare i partigiani suoi e ingrandirne il numero: tali furono i provvedimenti di stato.

L’assedio di Gaeta lentamente avanzava, dovendo gli assalitori coprirsi dalle offese dei bastioni e delle navi che scorrendo lungo il lito, battevano di fianco il campo e gli approcci. E nella fortezza cresceva il numero de’ soldati, abbondavano le provvigioni di guerra e di alimento, si scambiavano con nuove schiere le affaticate o inferme, era la ritirata sicura sopra i vascelli; e perciò quel presidio non pativa i travagli ordinarii degli assedii che sono scarsezza di vitto e di riposo, trascuranza di salute e di vita. Aggiungeva forza a quelle genti il saldo ingegno ed il valore del principe di Philipstadt supremo nella fortezza; e se all’animo di guerra era uguale il sapere, più lunghe e mortali sarieno state le fatiche degli oppugnatori.

Le squadre francesi percorrendo le ribellate o ribellanti province, portavano guerra, danni e terrore; tanto più che i partigiani del novello stato mossi da zelo e talvolta da malvage passioni, denunziando i fazionarii della contraria parte, ne producevano l’esterminio. La schiera che dovea soggettare la Calabria ebbe carico di espugnar Maratea, città murata, che in quel tempo racchiudeva gran numero di borboniani, ivi accolti perchè il luogo alpestre fosse ajuto delle armi e facile la ritirata sopra le navi nel sottoposto mare di Policastro. Ma non ristando perciò dagli assalti l’abile condottiero de’ Francesi, generale Lamarque, tre giorni combatterono, questi con maggior arte ed ordini, quegli con maggior numero, gli uni e gli altri con valore uguale. Più volte la vittoria ondeggiò, sì che i borboniani il primo giorno furono in procinto di abbandonare la città, i Francesi nel secondo di levare il campo; ma nel terzo la discordia, facile ad accendersi fra popolari adunanze, trasse gli assediati chi a fuggire, chi a repararsi sulle navi, chi a chiudersi nella cittadella. Presa la città e messa a sacco, arresa la cittadella nel seguente giorno, furono le morti mumerose e crudeli; tanto guasto essendo il costume del secolo che le pratiche di umanità serbate in guerra, non si credono dovute a popoli armati, benchè fossero quelle armi sacre e legittime.

Disfatta Maratea e lasciata alle sue miserie, i Francesi avanzando nella Calabria, soggettando tutte le terre sino a Cosenza, cinsero di assedio Amantea. Ma tanta nemicizia scoppiò contr essi ne’ popoli, che al primo apparire di quelle armi i cittadini disertavano le città, i contadini le ville, e girando per sentieri nascosti si adunavano