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LIBRO SETTIMO — 1815. 155

guardia, altri uffiziali di grado e di esperienza, lo pregavano a non dicaampare scopertamente, a fronte di nemico più forte e felice; pensasse che la sua legione era il perno del campo, riguardasse le altre star ferme, ed il re colà presso, che richiesto, direbbe quale de’ due comandi fosse il vero. Ma quei consigli, quei prieghi, la ragion militare e la prudenza, nulla poterono; e di chiaro giorno, a tamburi battenti, la fortissima posizione mal difesa allo spuntare del sole, disputata al meriggio, cagione di morte a tanti prodi, fu, al tramontare abbandonata da poi, occupata dal nemico senza guerra. Divennero allora i nostri pericoli gravi ed urgenti: la linea divisa nel centro, ogni ala presa di fianco, la ritirata delle altre legioni non preparata, la prigionia dell’esercito certa e vicina se il nemico andasse celere agli assalti, o lento il re ai rimedii. Ma questi, animato dalla grandezza del caso, spedì molti ordini, comparve in tutti i luoghi, capitano e soldato infaticabile, comandò, eseguì, ed in brevissimo tempo tutte le sue squadre ordinate a scacchiera, combattendo, riconduceva. Egli, ultimo sbarrò di sue mani, con alberi tagliati, l’entrata di una stretta, mentre uno squadrone di cavalleria nemica facea sopra lui e di pochi suoi seguaci fuoco vivissimo. E fu così vicino il pericolo e così visto, che il generale Bianchi punì il capo dello squadrone di non aver preso il re. Era già notte, riposarono i Tedeschi ne’ felici campi della vittoria, andavano i Napoletani i Macerata.

XCI. Superato il più imminente pericolo, disegnati i campi per la notte e le mosse del vegnente giorno, Gioacchino alloggiò in Macerata. E mentre stava pensieroso ed afflitto, un ajutante di campo del generale Aquino in quel punto arrivato, ansio di parlare al re, gli disse ch’egli veniva nunzio della morte o prigionia del suo generale, e del general Medici, non che del disfacimento dell’intiera legione seconda nel combattimento poco innanzi accaduto. Era un nuovo scontro co’ Tedeschi inatteso, e per le posizioni di quelle schiere non credibile, sicchè il re maravigliato dimandava le particolarità del successo; allorchè giunsero i generali Aquino e Medici che fingendo aver per la notte smarrita la diritta via, imbattutisi nel campo nemico avevano perduti molti soldati morti o feriti, più prigioni, disperso il resto. Nè quel racconto era compiuto, che giunsero Pignatelli e Lecchi, e l’uno disse che la sua legione era sbandata, l’altro che il general Majo tornava disordinatamente, avendo abbandonato il prefissogli campo di Petriola, perocchè della intera terza legione era l’animo abbattuto e contrario. Pareva ribalderia concertata, ma era comune indisciplina, palesata nel pericolo, fatta sicura dalle avversità e da’ disordini.

Il re adunò consiglio. Esaminate le particolarità di quei racconti, apparve chiaro che i soldati affaticati e male usati all’obbedienza,