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142 LIBRO SETTIMO — 1815.

scaloni sino a Cesena; piccola brigata guidava in Toscana il generale Nugent; quattro ponti sul Po (a Piacenza, Borgoforte, Occhiobello e Lagoscuro) erano per i Tedeschi muniti e guardati; ogni altra parte del fiume custodita ed invalicabile; guernivano di poche schiere la valle di Comacchio ed il ponte di Goro. I campi dietro al Po appoggiavano alla fortezza di Pizzighettone, Mantova e Lignago; e questa fronte o cortina aveva innanzi come bastioni le altre due fortezze di Alessandria e Ferrara. Quello esercito stava dunque in fortissime posizioni, che componevano, per natura di opere, possente linea di difesa; o, se le fortune della guerra mutassero, base di operazione contro l’esercito napoletano.

LXXIX. La guerra, oramai certa, fu denunziata il 30 marzo per editti e combattimenti. Un decreto di Gioacchino aggregava le province delle Marche e i distretti di Urbino, Pesaro e Gubbio al suo regno, cosicchè n’era il confine non più il Tronto ma il Foglia; e un editto concitava i soldati alla guerra, dicendo nemici gli Austriaci; motivo a combattere la infedeltà del governo d’Austria; obbietto la indipendenza italiana; stimolo all’esercito la gloria, l’onore, le ricompense, i ricordi; e ajuto a lui tutte le armi d’Italia. Altro editto agl’Italiani numerava le loro sventure, rammentava i beni della indipendenza, prometteva libera costituzione, diceva mossi a combattere ottantamila Napoletani, invitava i forti alle armi, i sapienti ai consigli; eccitava l’odio, la vendetta, le speranze, l’ambizione. Ma in questo invito alla italiana indipendenza appresso al nome francese di Murat era sottoscritto Millet francese.

E mentre i fogli si spandevano per tutta Italia, la legione del generale Carascosa, vanguardia dell’esercito, assaltava Cesena dove stavano duemilacinquecento soldati d’Austria, Cesena, benchè cinta di muri, non può resistere alle artiglierie; e perciò, investita per le porte di Rimini e del fiume, fu dopo breve combattere abbandonata dai difensori che per la porta di Cervia ordinatamente si ritirarono a Forlì, e quindi ad Imola e a Bologna. Giunsero i Napoletani ai 2 di aprile incontro a questa città, che novemila Tedeschi, retti dal generale Bianchi guardavano. La seconda legione napoletana era ad Imola, la terza a Forlì, l’una dall’altra distante di molte miglia; e però se Bianchi, più forte, attaccava quella prima legione, le speranze del combattimento erano per lui; ma sia prudenza o ricevuto comando, egli abbandonò la città, dirigendo tremila dei suoi verso Cento, e guidandone seco altri seimila per la via di Modena. I Napoletani entrarono in Bologna nel giorno istesso, e vi si fermarono per attendere l’arrivo e l’avvicinamento delle altre schiere.

LXXX. A dì 4 procederono, la prima legione verso Modena, la seconda verso Cento, la terza giungeva in Bologna. La prima scontrò