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LIBRO SETTIMO — 1814. 139

chino recava l’avviso della partenza, perocchè il disegno gli era noto, giunse in Napoli nella sera del 4 di marzo, mentre ne’ privati appartamenti della regina, con pochi cortigiani, ministri ed ambasciatori stranieri, stava il re a diporto. Andò con la moglie, chiamati ad altra stanza, ed indi a poco tornando riferì con allegrezza la ricevuta notizia e sciolse il circolo.

Al dì seguente mandò lettere per solleciti messi alle corti d’Austria e d’Inghilterra, dichiarando che, felici o sventurate le future sorti dell’imperator Napoleone, egli, stabile nella sua politica non mancherebbe alle formate alleanze; le quali dichiarazioni erano inganni, però che sensi contrarii chiudeva in cuore. Sconfidava dell’Austria e del congresso, e ne ricordava i mancamenti e le minacce; riposava nella fortuna di Bonaparte, e già sembravagli di vederlo sul trono, potente e primo in Europa; gli premeva il cuore la memoria delle recenti offese fatte alla Francia per la guerra d’Italia, e sperava di ammendarle per opere che giovassero all’ardita impresa del cognato. Ed in mezzo a questi pensieri spuntava l’ambiziosa voglia d’impadronirsi della Italia; e prendere quel destro a farsi grandissimo, per poi patteggiare dopo gli eventi con l’Austria e con la Francia, qualunque restasse vincitrice. Sorprendeva i Tedeschi, non temeva per lo armistizio gl’Inglesi, nè gli alleati, solamente rivolti alla guerra di Francia. Ciò che mancava a’ suoi disegni lo sperava dalla fortuna, ed a tutte le obbiezioni del proprio senno rispondeva co’ ricordi della sua vita.

Ma trattenevano il proponimento i ministri, i consiglieri, gli amici, la moglie; il qual contrasto lo indusse a convocare un consiglio, non per seguirne le sentenze, ma sperando di sedurre le altrui opinioni, persuader tutti alla guerra, spegnere le contrarietà, muovere all’impresa per unanime sentimento. Palesò allora per la prima volta, e forse amplificò i suoi timori dal congresso, le speranze e i maneggi nell’Italia; rappresentò l’esercito di ottantamila soldati, e quattordici battaglioni di milizie provinciali, quattromila guardie doganiere, duemila forestieri, ed una milizia civile numerosissimi: tutto il regno levato in armi. Disse l’Italia intorno al Po preparata e sommossa in suo favore, citò i nomi de’ partigiani e le forze; un di questi accertava avere assoldati dodici reggimenti, e tener pronti dodicimila archibugi; altro in distanza del primo nutrir quattro reggimenti armati; un terzo, di cui taceva il nome, personaggio allo e potente, trarre seco il maggior nerbo del già esercito italiano ed unirlo a’ Napoletani per la comune causa della indipendenza; soccorsi che i partigiani di Gioacchino, millantando, avevano esagerati; ed erano creduti in parte da lui, nulla o minimamente dal consiglio.

Il re proseguendo diceva, che negli attuali moti di Europa nè si