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LIBRO SETTIMO — 1814. 129

zuola, scontrarono il nemico e lo spinsero con poca guerra oltre la Nura, e sol dalla notte non dal fortificato convento di San Lazzaro furono trattenuti. Lo indomani dopo caldo ma breve combattimento quel posto e quel campo furono presi, il nemico riparò in Piacenza, noi al di fuori disegnavamo i modi di espugnar la città.

LXVI. E si era appena al meriggio del 15 di aprile del 1814, quando un foglio del generale Bellegarde, riportando la presa di Parigi, annunziava sospesa in Italia la guerra, ed aperte le conferenze di pace col vicerè. Al tempo stesso per la via di Piacenza, non più chiusa, giunse messaggero un uffiziale di Francia, e tutte riferì le infelici sorti dell’impero, le sventure dell’armi, il tradimento di alcuni capi, la fellonia di un ministro, la macchinazione di alcuni più conti e più ambiziosi fra i liberali, gli atti e ’l decreto del senato, la fuga di Giuseppe Bonaparte, le capitolazioni di Parigi, l’abdicazione dell’imperatore, il ritorno de’ Borboni al trono, e quel tumulto di consentimenti e di adulazioni che in Francia (vergogna ed ostacolo alla vera grandezza di un popolo) più che altrove subitamente si manifesta a pro del potere e della fortuna. Stava Gioacchino a passeggiare sul prato di piccola casa di campagna, quasi alle mura della città, ed io seco ragionando delle fortificazioni di Piacenza e del modo di espugnarle, quando giunsero que’ due messi. Leggendo i fogli impallidì, e tacito per alcun tempo ed agitato passeggiava in disordine: ma poscia a pochi che gli stavano intorno disse mestamente ed in breve i casi della Francia, comandò che la guerra fosse sospesa, e subito tornò a Firenzuola, indi a Bologna. Nè cessò la mestizia, che anzi per parecchi giorni andava crescendo, pensando alla grandezza del rovinato impero, ed a passati travagli per innalzarlo, ed a’ suoi presenti pericoli ed a Bonaparte, non più in sua mente despota e superbo, ma congiunto, benefattore e infelice.

LXVII. Pochi dì appresso il vicerè fece accordi con Bellegarde e con Gioacchino: stabilirono che dell’esercito italo-franco i Francesi ritornassero in patria, gl’Italiani serbassero il paese che allora occupavano, ed era quanto è racchiuso tra il piede dell’Alpi, il Po ed il Mincio, i Napoletani prendessero le stanze prefisse ne’ trattati della confederazione; le fortezze oltre il Mincio, ancora guardate da’ Francesi, fossero cedute a’ Tedeschi di Bellegarde. Mentre Genova investita dagli Anglo-Siculi, e fatta consapevole degli avvenimenti di Francia, erasi data per capitolazione a lord Bentinck, e questi con la usata foga (leggerezza che pareva inganno) la ordinava a repubblica, e ristabiliva leggi e magistrati a modo del 1797. In tutta Italia finì la guerra.

Se non che in que’ giorni stessi altra peggiore, perchè civile, arse in Milano. Pure in quella città più favorita in Italia da’ Fran-

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