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LIBRO SETTIMO — 1814. 125

a piede, Iddio me ne darà la forza. E dopo breve silenzio il generale dimandandogli a quali gradi della milizia, e quando accorderebbe l’onore della sua presenza; egli rispose, che vorrebbe veder tutti, ma incalzato dal tempo avrebbe visto i soli generali domani alle nove ore della mattina. Il Carascosa ribaciò la mano, e con egual riverenza si accomiatò; riferì al re, molto a motto il discorso, e lo pregò di cedere all’impero delle opinioni. Al dì seguente all’ora stabilita, presentati al pontefice i generali dell’esercito, gli accolse con cortese semplicità, offrì la mano ad ognuno, s’intrattenne in discorsi di milizia, lodando la bellezza delle vedute schiere; nè diede licenza, prima che di ognuno non ebbe udito il dimandare e il rispondere.

E subito si partì. Il re in Bologna dopo avere ondeggiato fra pensieri varii e rigettato il buon consiglio di due suoi ministri, di parteggiare coi popoli per il papa, scelse il peggior avviso, il mezzano, onorare il pontefice per corteggi, non dargli ajuti. Giunto quegli a Bologna e ristoratosi dalle fatiche del viaggio. fece, egli primo, Visita al re intrattenendosi non breve tempo; dopo alcune ore la visita fu resa e più lunga. Toccarono la restituzione degli stati della chiesa, e l’uno tutto volendo, l’altro concedendo stentatamente, fu concordato (senza scritto perchè ognuna delle due parti voleva serbare intere le sue ragioni) rendere al pontefice Roma e ’l patrimonio di San Pietro, il re di Napoli tenere il resto. Altra discordanza era nel proseguimento del viaggio, il papa indicando la strada Emilia; e Gioacchino, a fine di trattenere i moti e gli affetti de’ popoli che rimanevano a lui soggetti, bramando che proseguisse per la Toscana. Ma Pio più forte di Gioacchino, nella scelta del cammino vinse per risolutezza; così come nella divisione de’ dominii, conoscendo sè più debole perchè disarmato ed ancora solo, aveva tollerato ch’egli tenesse la maggior parte degli antichi suoi stati. L’indomani seguitò per la strada Emilia, e lentamente giunse a Cesena sua patria, dove lunga pezza, sino a che le guerre di Francia e d’Italia ebbero fine, restò; e dipoi come in trionfo entrò in Roma il dì 24 di maggio di quell’anno 1814. Al dì vegnente le milizie di Napoli ne partirono, nè i ministri di lui vollero consegnato da’ ministri del re il governo della città e delle ricuperate province, preferendo le perdite e i disordini al fastidio ed al riconoscimento del passato dominio. Già la superbia spuntava.

LXIII. I carbonari della Calabria erano concitati dalla Sicilia; quelli di Abruzzo, da Lissa, isola dell’Adriatico, che fatta emporio di commercio e di contrabbando era dagl’Inglesi fortemente guardata. I Calabresi, sperimentati ai rigori del generale Manhes, macchinavano segretamente; ma gli altri inesperti ratto si mossero, così che al dì fissato la rivoluzione proruppe simultanea e generale nella provincia di Teramo, confine del regno. Era disegno dei carbonari