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LIBRO SETTIMO — 1814. 123

posseditrici di varii regni, il popolo tra maraviglie, guadagni e srandezze, rallegravasi e sperava.

LXI. Da varie parti, quasi al giorno istesso tre gravi sventure vennero ad affliggere Gioacchino. I generali del suo campo dimandarono con risolutezza, di essere intesi negli affari della guerra. Il papa, liberato da Bonaparte, incamminato verso Roma, era già sul confine di Parma. In Abruzzo i carbonari, mossi a ribellione, sommovendo parecchi paesi, avevano alzata bandiera borbonica. De’ quali avvenimenti dirò più a lungo.

I generali di Gioacchino erano dell’esercito la miglior parte per servigi, virtù di guerra ed ingegno; giovani di età, partigiani dell’idee nuove, ed amanti ab antico di patria e d’Italia, divoti a Gioacchino per gratitudine ed ambizione, ma esperti ed abusatori de’ principali suoi difetti, premiar troppo, punir giammai, e sì che nello esercito si ambivano le azioni di merito, guerra, fatiche, cimenti, e poco temevansi le ribalderie e le colpe. Or quei generali, seguaci del re nelle prime controversie con Bonaparte, alcuni partecipi e consiglieri delle conferenze di Ponza, la più parte instigatori alla lega con l’Austria, e tutti solleciti dell’onore dell’esercito e del capo, vedendo che politica falsa e cangiante menava il re ed il regno a irreparabile rovina, parlandosi l’un l’altro e rattristandosi, sperarono indurre Murat a proponimento migliore. Con foglio sottoscrtlto da due, che per più lunghi servigi cerano primi, chiesero che in quelle circostanze gravissime il re, convocando un consiglio per la guerra, sentisse il voto de’ suoi generali.

Parve quel foglio, ed era, deliberazione dell’esercito, detrazione all’imperio del capo, novella specie di ribellione, colpa degna di pena. Se Gioacchino avesse avuto animo a punire, non prorompevano i maggiori dell’esercito a quella estrema baldanza; ma il re che perdonava fino agl’infimi dell’esercito, non punirebbe i primi carissimi a lui, e solamente colpevoli di troppo zelo. La disciplina (l’ho detto altrove e ad ogni nuovo esempio vo’ ripeterlo) non è merito de’ soggetti, è virtù del capo; e ben dico virtù, se costa sforzi magnanimi ad esercitarla, severità di costumi, giustizia continua, inflessibilità, e mentre il sentimento più naturale ad uomini che vivono in travagli e pericoli comuni sarebbe il vicendevole amore, sopprimerlo nel suo cuore, non aspettarlo da sottoposti, e desiderare in essi timore, ammirazione, rispetto, sentimenti che si imprimono per propria fatica ed amaritudini. Il re a sedare l’audacia de suoi generali adoperò le minacce, poi le seduzioni, ma non furono da quelle arti spaventati nè presi. Potè l’affetto. In quel mezzo annunziato l’arrivo di Bentinck, che superbo e da nemico, benchè fosse alleato, veniva a chiedere al re la cessione di Livorno ed altre non minori cose, Gioacchino disse: «Egli giunge in mal